Indice
Non un semplice giallo, ma una riflessione sull’identità, sulle comunità chiuse, sulle leggi e sulla libertà. Senza voler spaventare i lettori, dobbiamo dire che “Il villaggio di vetro” di Ellery Queen è davvero un pezzo originale nell’ampia produzione di quella coppia straordinaria di scrittori che si firmavano, appunto, Ellery Queen.
Pseudonimo, questo, che nascondeva i nomi di Frederick Dannay e Manfred Bennington Lee, a loro volta pseudonimi di Daniel Nathan (New York, 20 ottobre 1905 – New York, 3 settembre 1982) e Manford Lepovski (New York, 11 gennaio 1905 – Roxbury, 3 aprile 1971), due cugini, figli di ebrei polacchi cresciuti a Brooklyn.
Ellery Queen, un marchio di successo internazionale
Prima di addentrarci nelle pagine del romanzo, è utile spiegare che Ellery Queen è non solo lo pseudonimo col quale si firmano gli autori, ma è anche il personaggio protagonista di tante storie create da Nathan e Lepovsky (i lettori del nostro blog non più giovanissimi ricorderanno la famosa serie tv, dove Ellery Queen era interpretato da Jim Hutton, attore scomparso nel 1979 a 45 anni), ma è stato una sorta di marchio del giallo, piuttosto redditizio, considerato che un certo numero di romanzi venne scritto non dalla nostra copia di cugini, ma da altri autori autorizzati, veri e propri ghostwriter, alcuni anche famosi (fra gli altri, lo scrittore di gialli e fantascienza Edward Dentinger Hoch e Theodore Sturgeon, noto scrittore di fantascienza e sceneggiatore di alcuni episodi di Star Trek).
A oggi, l’opera dei due cugini può essere suddivisa in quattro grandi gruppi:
- Romanzi scritti dalla coppia (senza l’intervento di ghostwriter) dove il protagonista è Ellery Queen o dove comunque la firma è Ellery Queen;
- Romanzi con Ellery Queen protagonista, scritti in toto o parzialmente da ghostwriter incaricati da Nathan e Lepovsky, che fornivano il soggetto e curavano la revisione dei testi;
- Romanzi dove non compare il personaggio di Ellery Queen scritti da ghostwriter su commissione e revisionati da Lepovsky;
- La rivista Ellery Queen’s Mystery Magazine (EQMM) che Nathan curò fino alla sua morte, nel 1982.
“Il villaggio di vetro” fa parte del primo gruppo di romanzi.
Il villaggio di vetro, la trama
Un vecchio giudice torna a Shinn Corner per il discorso annuale del 4 luglio. Shinn Corners è un piccolo villaggio dove tutti si conoscono, ma dove non tutto si può raccontare: come in ogni comunità, ci sono segreti, ci sono cose non dette o che è meglio non dire, ci sono ricordi e fatti del passato che condizionano il presente.
In quest’angolo remoto d’America, viene trovata assassinata un’anziana pittrice, un’artista piuttosto famosa, la cui fama aveva varcato i piccoli confini del villaggio. E proprio davanti a questo omicidio, la comunità rurale di Shinn Corners si scopre coesa, tetragona, chiusa e perfino ribelle.
Lì non c’è un tribunale locale per giudicare il sospettato di omicidio, ma gli abitanti del posto non hanno nessuna intenzione di consegnare il sospetto alla polizia di Stato e sono perfino pronti a tirare fuori le armi per difendere il loro diritto a giudicare e a vendicarsi.
Raccontare di più significherebbe compromettere il piacere del lettore nel prendere in mano il romanzo e cominciare a sfogliarne le pagine: il giallo non ha forse colpi di scena e nemmeno una frequenza di omicidi come spesso troviamo in altri gialli, ma la sua linearità non è per nulla noiosa, anzi ci conduce verso il climax finale, immergendoci nel villaggio di Shinn Corner, “l’ultimo posto al mondo in cui un uomo potesse trovare una risposta a qualsiasi interrogativo“.
Identità e violenza (affascinante) del profondo nord rurale americano
E invece di interrogativi ce ne saranno molti, e non sulla innocenza/colpevolezza dell’uomo sospettato dell’assassinio della pittrice. La particolarità di questo romanzo, infatti, non risiede tanto e non solo nel meccanismo omicidio-scoperta del colpevole-ristabilimento dell’ordine, quanto invece nei meccanismi interni di una piccola comunità del “profondo nord” americano, dove il primo istinto di gruppo è la difesa della propria identità e, quindi, dei propri confini.
Sono rimasto affascinato dalla violenza (non semplicemente quella fisica, ma psicologica) che un gruppo chiuso può esercitare e ho pensato che gli autori avessero ben a mente la lezione di Gustave Le Bon sugli istinti brutali delle folle e sulla perdita di autonomia del singolo individuo quando componente di un gruppo. Qui la folla è davvero minuscola, un vecchio agglomerato di case con poche decine di abitanti, poche famiglie, vita dura.
Gli elementi di cui tenere conto nella lettura sono almeno un paio. La data di uscita del romanzo è il 1954, siamo, dunque, in pieno maccartismo e nelle pagine de Il villaggio di vetro se ne ritrova più di un riferimento. Il secondo elemento è sempre una data, ma interna alla storia: il 4 luglio, il giorno dell’indipendenza degli Stati Uniti d’America.
Il giudice dell’Alta Corte Lewis Shinn arriva a Shinn Corner proprio per il solito discorso annuale e nelle sue parole, pronunciate davanti alla platea poco interessata, formata dagli abitanti del villaggio, troviamo uno dei motivi centrali del libro: la difesa della libertà e delle leggi che la regolano:
L’attacco contro l’uomo libero comincia sempre con un attacco alle leggi che proteggono la sua libertà. E come fa il tiranno ad attaccare queste leggi? Per prima cosa dice: “Mettiamo per un momento le leggi da parte, dato che questa è una situazione di emergenza’. E mentre la famosa emergenza vi vien fatta sventolare davanti agli occhi, vi portano via uno per uno i vostri diritti.
Il villaggio e il mondo esterno
Sono parole che si potrebbero ripetere oggi in molte parti del mondo, anche nei paesi del libero Occidente, ma restiamo sul romanzo di Ellery Queen. Il villaggio di vetro in realtà è tutto fuorché di vetro: dopo l’omicidio viene fermato un uomo, come abbiamo già scritto, e tutte le prove sono contro di lui, ma non è questo che importa davvero; ciò che si apre tra il villaggio e il mondo è chi deve occuparsi dell’omicida.
Inizia fra il giudice e la comunità – di cui lui stesso fa parte – un confronto duro, dove lo spirito identitario ha molta importanza, così come ne avranno la voglia di vendetta, la compattezza del gruppo, la capacità di ragionare con la propria testa.
L’illusione che la piccola comunità possa preservare se stessa è al tempo stesso commovente e irrealistica: non ci sono isole, tutto è globale e collegato, e lo “straniero”, purtroppo o per fortuna, è sempre colui con cui dovremo avere a che fare.
Autore: Ellery Queen
Titolo: Il villaggio di vetro (originale: The glass Village)
Prima edizione: 1954, Little, Brown Company (Stati Uniti)
Prima edizione italiana: 1976, I classici del Giallo, Mondadori
Traduzione: Giulia Camia
Vuoi leggere la recensione di un altro giallo? Prova con Simenon!
Acquista qui e sostieni il blog!