Todo-modo-Leonardo-Sciascia-orizzweb

Todo modo di Leonardo Sciascia: un’opera d’accusa al potere politico

Pubblicato per la prima volta nel 1974 da Einaudi, il romanzo di Leonardo Sciascia (1921-1989) Todo Modo può essere considerato un giallo, con rimandi alla politica italiana e all’animato periodo degli anni ’70. Ancora una volta, Leonardo Sciascia denuncia la corruzione del potere e il suo legame con la mafia.

Todo modo, la citazione del titolo

Todo modo, è una citazione (Todo Modo para buscar y hallar la voluntad divina, cioè Cercate in ogni modo di adeguarvi alla volontà divina), tratta dagli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dell’ordine dei Gesuiti, ed è incentrata su un modello di cultura d’élite simile a ciò che rappresenta Don Gaetano nel romanzo.
Tuttavia, questa frase non appare mai all’interno del romanzo anche se Don Gaetano dirà in un momento di riflessione di prediligere la volontà di ognuno di salvarsi piuttosto che le scelte per raggiungere la salvezza.

L’Eremo di Zafer

Todo Modo è ambientato nell’ Eremo di Zafer 3, di cui non abbiamo una collocazione geografica, divenuto poi albergo, dove il protagonista, un famoso pittore, decide di fermarsi.
«La parola eremo, il nome Zafer, il numero 3: cose ugualmente e diversamente suggestive, per me; e vi si aggiungeva la suggestione che erano tre, il tre che si ripeteva: e anche nel fatto che proprio da tre giorni liberamente vagavo» (pag.4).
L’eremo è un luogo solitario, dove ci si ritira a far vita religiosa, un posto dove ritrovi quella solitudine «intrisa di sentimento, di meditazione, magari di follia» (pag.5).

E, Zafer chi era? Un musulmano o un cristiano? La cosa passa inosservata anche se, nella trama simbolica del romanzo, è un elemento importante: l’eremo è un albergo, «un casermone di cemento orridamente bucato da finestre strette e oblunghe» in un «vastissimo spiazzo anch’esso asfaltato (pag.5).
Un prete, giovane, bruno e zazzeruto, svela al protagonista l’origine di Zafer: «Tutta una storia inventata a tavolino: nella seconda metà del secolo scorso, da un erudito locale […] C’era la tradizione, la leggenda, di un eremita dalla faccia scura e dalla barba bianca» (pag. 28).

Insomma, la mostruosa costruzione di cemento, l’eremo-albergo, è costruita su una menzogna, e protegge convegni di dubbia natura.

Don Gaetano

L’ambiguo direttore dell’albergo è un prete all’apparenza colto e devoto, proprietario di altri tre alberghi e non certamente lontano dall’agone politico che si mostra al lettore subito per il suo carisma acutamente inquietante e sibillino.
La superiorità culturale permette a Don Gaetano di essere irriverente con gli ospiti dell’eremo: conosce i loro peccati e imbrogli, e, nonostante sia vincolato al segreto confessionale, spesso, biasimandoli, lancia maliziosamente ai suoi interlocutori allusioni.
Don Gaetano informa il pittore dell’arrivo d’importanti personaggi (vescovi e cardinali, industriali e politici), venuti all’eremo per gli annuali esercizi spirituali e gli mostra un quadro che ha per oggetto Zafer, ritratto come un santo scuro e barbuto, e un diavolo «dall’espressione tra untuosa e beffarda, le corna rubescenti, come di carne scorticata» (pag.29).

Un particolare cattura l’attenzione: il diavolo indossa gli occhiali a pince-nez con la montatura nera, che se inforcati da Zafer gli avrebbero permesso di migliorare la sua debole vista.
Il prezzo da pagare è alto: se il santo accetterà in dono le lenti, attraverso di esse leggerà il Corano e la Sacra Scrittura.
Più tardi, scorrendo le pagine del libro, scopriremo che il sacerdote possiede lo stesso paio di occhiali. Sarà forse un simbolo che ben rappresenta l’ambiguità del personaggio?

Il bosco

Il romanzo è ambientato in due luoghi: l’albergo-eremo e il bosco. Il protagonista, passeggiando, oltre lo spiazzale, si ritrova in un bosco e intravede «come un lago di sole e dei colori che vi si muovevano» (pag.11). Appaiono alcune donne, quattro bionde e una bruna, in bikini, distese sugli asciugamani sicuramente a prendere il sole.

Più tardi, capiremo che sono le amanti segrete degli uomini impegnati negli esercizi spirituali: «Era un’apparizione. Qualcosa di mitico e di magico. A immaginarle del tutto nude (e non ci voleva molto), tra l’ombra cupa del bosco in cui io stavo e la chiazza di sole in cui stavano loro, con quei colori, in quell’assorta immobilità, ne veniva un quadro di Delvaux (non mio: ché io non ho mai saputo vedere la donna in mito e in magia, né pensosa, né sognante). Era di Delvaux la disposizione, la prospettiva in cui stavano rispetto al mio occhio: e anche quello che non si vedeva e che io sapevo: il fatto che stavano, sole, in quel cieco casermone tenuto da preti» (pagg. 11-12).

Le donne sono giunte all’Eremo per appagare, nel cieco casermone tenuto da preti, proprio durante gli esercizi spirituali, gli appetiti sessuali degli altolocati ospiti. Le cinque amanti dei cinque uomini di governo sono qui tollerate.

Gli omicidi in Todo modo

Durante la scena del rosario, recitato all’aperto da tutti i partecipanti in fila come un esercito, viene ucciso l’onorevole Michelozzi.
Il giorno successivo, tocca all’avvocato Voltrano, che probabilmente sapeva il nome dell’assassino e, in ultimo, a Don Gaetano.
I tre assassinii non avranno mai un colpevole.

Perché hanno luogo questi omicidi? E perché quello di don Gaetano, ritrovato in una radura, con accanto la pistola che lo ha colpito? Todo modo è un giallo che non ci dà alcuna soluzione. La scena finale, quella del cadavere del sacerdote ancora caldo è determinante.
I protagonisti, Scalambri (ex compagno di scuola del pittore) e il commissario chiamati sul luogo del delitto, insieme al pittore, tentano di trovare una soluzione: «E se[…] ad uccidere don Gaetano fosse stato un altro, uno che sapeva dove stava nascosta la pistola o che per caso l’avesse trovata?”.
Oh Diodisse Scalambri- ma perché dobbiamo complicare le cose, che sono già abbastanza complicate?… La pistola era nascosta dove colui che ha sparato a Michelozzi l’aveva nascosta […] E puntando l’indice sul commissario – Lei crede che qualche altro abbia trovato la pistola, che ad uccidere don Gaetano non sia stata la stessa persona che ha ucciso Michelozzi? Non credo niente, io… Soltanto, non mi spiego la ragione per cui la pistola sia stata lasciata lì, accanto a don Gaetano. Perché non serviva più: può essere una spiegazione, no? Può essere-disse il commissario. Ma per tagliar corto» (pagg.120121).

Della morte di don Gaetano, il pittore confessa l’omicidio, ma Scalandri non gli crede, perché non ha un movente.
Infatti le parole di Scalambri sono: «Io lo dico sempre, caro commissario, sempre: il movente, bisogna trovare, il movente…» ( pagg.122-123).
Sciascia non smaschera il colpevole e non svela l’enigma, concludendo Todo modo con un richiamo a I sotterranei del Vaticano di André Gide.

Conclusioni

L’immagine della copertina della prima edizione di Adelphi è il dipinto Tentazione di Sant’Antonio del senese Rutilio Manetti, scelto da Sciascia e rilevante per la comprensione del romanzo.
Le due figure del quadro sono il santo e il diavolo con un paio di occhiali.

Pubblicato nel ’74, qualche anno prima dell’Affaire Moro, Todo Modo, pur mantenendo le caratteristiche di un giallo quasi profetico, è un’opera di accusa nei confronti del potere politico italiano degli anni Settanta, un mondo pieno di ipocrisie, connivenze e compromessi che anticipano quanto succederà negli anni successivi.

Una fabbrica di corruzione e di rapporti ambigui tra politica e clero, ritratto dalla figura di don Gaetano [«la Repubblica tutela il passaggio, lo so; ma poiché don Gaetano tutela la Repubblica… Insomma, la solita storia» (pag.7), dirà un prete all’arrivo all’Eremo del pittore].
Il romanzo, oltre che una critica feroce ai democristiani di allora, si immerge anche nelle torbide maglie della Chiesa, dandocene un’immagine diabolica: don Gaetano, quasi un’incarnazione del diavolo, si pone nella cerchia dei preti cattivi, che non vedono nella chiesa una comunità convocata da Dio, ma «una zattera della Medusa […] metafora, per me, di ciò che è la Chiesa» (pagg.48-49).

Scegliendo la forma del “giallo”, Sciascia crea un’opera di particolare corrosività sprezzante, ed entra nell’oscurità di un potere colluso e putrefatto, portando in scena l’intrigo perverso della politica e dell’economia con la gerarchia ecclesiastica che il lettore afferra con amarezza.
La lettura di Todo modo è quanto mai attuale: corruzione, latrocini e speculazioni che incatenano tra loro uomini diversi pur essendo simili, e ci ricorda che la politica non è quella dei volti pubblici ma quella delle eminenze grigie, degli spazi extraparlamentari ed extramondani, in cui solo pochissime ombre decidono le sorti del Paese.


Acquista il libro e sostieni il blog letterario!


todo-modo-leonardo-sciascia-copweb
Scheda Libro


Titolo:
Todo modo

Autore:
Leonardo Sciascia

Editore:
Einaudi

Prima edizione:
1974

Pubblicato in Narrativa.

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *