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Niente di vero di Veronica Raimo, ci vuole talento nel non lasciarsi andare

Veronica Raimo in ‘Niente di vero‘ (Einaudi) ci racconta la sua famiglia, la sua evoluzione dall’infanzia all’età adulta, la sua personalità, come in una serie di sedute di psicoterapia ma senza i meta significati della psicanalisi.

La non trama

Una composizione familiare medio borghese, padre dirigente, madre insegnante, casa di proprietà a Roma ma non a Roma centro, Veronica e suo fratello Christian crescono nell’assenza di entusiasmo, circondati dall’efficientismo del padre, e dall’apprensione della madre.
Una prosa sagace, divertente, puntigliosa nello stile e nella sintassi piena di avverbi e di periodi ben strutturati, e allo stesso tempo attenta a mantenersi lontana dall’area semantica del pathos. L’aspetto davvero esilarante e artistico (sarebbe contenta la zia dell’autrice) sta nel fatto che dalle autobiografie tendiamo ad avere l’aspettativa dell’epopea, con una trama strabordante di eventi simbolici, catartici, di bivi, scelte che portano ad altre scelte che portano dapprima all’infelicità fino a che tutto improvvisamente si riempie di senso; in ‘Niente di vero’ non accade nulla di tutto questo.

Ci sono però gli episodi della sua vita, le descrizioni spiritose delle espressioni più utilizzate da ogni persona della sua famiglia, le amicizie, l’adolescenza, il sesso, la nebulosa delle percezioni.

Il rapporto con il fratello

Un tema caro alla psicologia è quello dell’individuazione, ovvero definire chi siamo, affermare la nostra identità, e perimetrarla, i passaggi avvengono nell’infanzia. In ‘Niente di vero’ Raimo descrive la storia di un’individuazione mancata, forse perché il ruolo da protagonista nella dinamica familiare è sempre spettato al fratello, in quanto più intelligente, più creativo, più preparato, più.
Lei non si oppone alla dinamica, ma ci resta all’interno cercando di volta in volta maniere diverse per sabotarla, o come scrive chiaramente meglio lei “ogni volta che mi sono sentita chiusa in una cameretta con delle regole non ho provato a fuggire ma a inquinare il raziocinio della stanza e delle regole”

Come si cresce e come si vive quando si introietta il significato che essere secondi è la propria condizione? Aldilà di meglio o peggio, proprio cosa si sarà in grado di fare, cosa Veronica si permetterà di vivere e cosa no? E in effetti, per esempio io ho comprato questo libro, anche perché Raimo per me era un cognome noto per via del politico Christian, attivo nel suo Municipio, di cui ricordavo le iniziative culturali. Ma, per eterogenesi dei fini, ho scoperto una scrittura aspra, distante, altera, irriverente, che trovo una delle ragioni che mi spingono a continuare a leggere, in generale.

Il ribaltamento dello stereotipo

Assistiamo quotidianamente allo scorrere del dibattito pubblico su stereotipi di genere, rappresentazione del sesso femminile nei media, parità di genere, corrette norme linguistiche riguardanti le desinenze al femminile (tutte battaglie che penso essere giuste, eh!).
Raimo qui fa un’operazione differente, senza alcuna pretesa didascalica, e senza voler fare alcuna operazione, ma di fatto la compie: non tanto rifiutare il binomio donna-maternità quanto il non sentirsi in nessun modo facente parte del binomio donna-accoglienza.

Lei che quando incontra un suo ex compagno di classe, presa dall’incapacità di intavolare convenevoli e rituali, mente dicendo che “suo padre è appena morto” o che al medico che la voleva convincere a non abortire risponde “in fondo a noi interessa solo scopare”, e ancora che “ha passato il tempo a sperare non che le storie non finissero ma che proprio riuscissero a non cominciare”, dispettosa verso i canoni sociali di pensiero e linguaggio afferenti alla sfera del femminile.
Il suo entrare in relazione più intenso lo ha avuto con il nonno, figura assolutamente permeante nella costruzione di personalità. Anche qui, nel suo Pantheon (espressione che detesto ma che inserita così ha un senso) non c’è una nonna accogliente e premurosa, una zia all’avanguardia e modaiola, ma un uomo, anziano, schivo, silenzioso, poco avvezzo alle moine.

Cosa resta di ‘Niente di vero’?

“Sono sempre stata aliena al concetto di lasciarsi andare per un motivo molto banale: non so dov’è che dovrei andare”. Qui la fragilità, l’iper razionalità, si mischiano con la sovrapposizione del senso letterale e di quello metaforico, esponendo tutta la cifra divertente e ironica. Scrive così a proposito del sesso e dell’amore, ma si tratta proprio di un atteggiamento verso la vita estendibile a tutti suoi campi.

La cosa più bella è che non c’è nessuna da morale da ricavare, non un insegnamento, un principio guida da seguire. Ciò che resta davvero – o almeno a me è restato – è un elenco di domande che farei a Veronica Raimo. Ti capitano mai gli attacchi di ansia? Come li affronti? Ma alla fine ti sei pentita di qualche scelta? Hai poi capito se tutto questo distacco da ciò che accade è soltanto difesa? Fai yoga? Fumi? Hai paura di restare da sola? Pensi di aver scavato abbastanza in profondità in questa autobiografia? Cosa significa per te innamorarsi? Sai cucinare?
Non credo risponderebbe a tutte.

In un momento storico in cui simulare capacità, competenze, potenzialità, successo, rappresenta un modo per costruire un posto sicuro che si nutre degli occhi degli altri (che poi sicuro non è), leggere qualcuno che scrive “che poi chi lo ha detto che avere un talento è meglio di non averlo?” restituisce la potenza che solo il ridimensionamento è in grado di avere.


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Scheda libro

Titolo: Niente di vero

Autore: Veronica Raimo

Prima Edizione: 2022

Editore: Einaudi (2022)

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