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‘Avvicinati e ascolta’ la poesia di Charles Simic

Vorrei presentare il libro di poesie di Charles Simic ‘Avvicinati e ascolta’. Penso però che due parole sulla grafica dell’edizione siano necessarie perché a volte certe soluzioni disturbano la lettura e chi legge non si sofferma sul problema, che in effetti è secondario e il fastidio superabile. In questo caso il grafico propone un formato quadrotto con una copertina figurativa (anteriore e posteriore, il retro forse più interessante della copertina) ma quello che disturba è la soluzione interna.

Sulla grafica

Trattandosi di un originale americano con testo a fronte in italiano, mi sembra che la traduzione sia troppo vicina alla rilegatura, pare quasi emergere da lì, e la scelta del corpo del testo un po’ infelice, perché genera delle pagine con uno o due versi soltanto. Bisognerebbe evitare che una poesia termini con un verso soltanto nella pagina successiva, per il resto vuota. Sono effetti tollerabili, ma per me inspiegabili in quanto tutto il resto è ben curato, a cominciare – cosa decisamente più importante – dalla traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan, che firma anche l’introduzione, un breve testo preciso e calibrato: a volte certe introduzioni cercano di influire troppo sul lettore; non è questo il caso.

‘Avvicinati e ascolta’, lo stile

Charles Simic è un poeta statunitense nato in Serbia nel 1938 ed emigrato quindicenne a Chicago. Tradotto in tutto il mondo, in Italia i suoi libri sono pubblicati da Donzelli e Adelphi.
‘Avvicinati e ascolta’ è stato pubblicato invece dalla casa editrice romana TLON nel 2021. Simic ha vinto tanti premi letterari, compreso il Pulitzer nel 1990. Se si pensa che ha vinto sia il Wallace Stevens Award sia la Frost Medal, forse qualche riflessione potrebbe essere utile.
Stevens e Frost sono infatti due dei punti cardinali della poesia americana del Novecento, e sotto molti aspetti piuttosto distanti, apparentemente opposti, per quanto spesso gli opposti mantengano sotterranee radici comuni. Sinceramente, credo che questa sia solo una convenzione letteraria, una semplificazione, ma qui ci serve per notare come in Simic il quotidiano possa improvvisamente scivolare nel visionario, o come nel parlato colloquiale si aprano delle botole spalancate su abissi tremendamente bui, imperscrutabili. La selezione lessicale è più vicina a quella di Robert Frost (considerando ovviamente il salto di un paio di generazioni) ma Simic non dimentica gli interrogativi metafisici di Stevens, anche perché il parlato adottato è in realtà il risultato stilistico del rapporto tra imitazione e originalità.

Avvicinarsi

La poesia che apre la raccolta ne è un esempio: Some birds chirp, alcuni uccelli cinguettano. Vocabolario elementare, quasi per bambini. Il tono didascalico rammenta il signor Palomar di Italo Calvino. Ma il primo verso, dopo quel titolo, già inquieta: “altri non hanno niente da dire”. Perché altri uccelli non hanno niente da dire? “Deve essere qualcosa di enorme / che li fa uscire di senno”. Qualcosa di enorme, nel cervellino di un uccello, che a noi sfugge? Simic se lo chiede. Se lo chiedeva anche Calvino nel racconto Il fischio del merlo: “Il fischio uguale dell’uomo e del merlo gli appare come un ponte gettato sull’abisso” (Palomar, Einaudi 1983). Comunque, tanto vale provarci, conclude Simic, nonostante il baccano di quelli che cinguettano e sfrecciano lì vicino. Tutto qui. Poesia sibillina, perché collocata in apertura, come una chiave musicale per l’intero libro: nel rumore di fondo di tutte le incombenze e nell’enorme chiacchiera universale, la poesia può ritagliarsi un posto, e sperare in un ascolto. Tuttavia, per chiedere un ascolto, bisognerebbe avere qualcosa di importante da comunicare. E appunto lì comincia l’ascolto, di solito l’interpretazione delle immagini che salgono alla coscienza. Deve esserci un perché. Infine, anche sull’aggettivo “importante”, quanti dubbi… per ogni lettore può avere un significato diverso.

Una sincerità visionaria

La poesia che dà il titolo alla raccolta racconta la sua biografia: “sono nato… in una nazione / che non è più sulle carte geografiche” (la Jugoslavia); e poi l’esilio. Una strofa di cinque versi racchiude la sua vita paragonata a una foglia che cade quando la bella stagione è finita (l’infanzia), “perché il vento mi portasse lontano”. Allora si rivolge alla “signora cieca chiamata Giustizia” ma non sa dove trovarla. Che cosa vorrebbe chiederle? Solo questo: perché in certi giorni lo tratta bene e in altri male. E nel sarcasmo che chiude amaramente il componimento traspare la saggezza di chi ne ha viste tante: “Cieca com’è, poveretta, / se la cava meglio che può”.

Strategie di osservazione

Simic sfida la banalità, sorride dell’ineluttabile, perché dietro quella parola elementare se ne cela un’altra con più storia e lignaggio culturale e filosofico: il destino, che vola via come quella foglia, vorticando dall’infanzia alla vecchiaia, o – con un’immagine di una poesia successiva – “l’uomo che agita le braccia / come uno spaventapasseri nella tempesta”. Qualcosa di imperscrutabile sembra nascondersi nella casualità dei fatti, ma non è sicuro, forse è soltanto una nostra illusione. La poesia che sostituisce l’associazione degli alcolisti anonimi con quella dei metafisici anonimi, dove “confessare la nostra funesta dipendenza / dalla conoscenza al di là delle apparenze” ne parla con la consueta ironia. Sono punti di vista inaspettati, che non modificano lo stato delle cose e non creano aspettative di un mondo migliore ma cercano strategie per osservarlo con benevolenza anche se non senza terrore, come dentro una lavanderia a gettoni di paese: solite cose, ma “c’è qualcosa di malefico là fuori”.

Gli ascoltati

In effetti, “una grande città era ridotta in rovine” mentre tu ti addormentavi sull’amaca lasciando cadere il giornale, che vola via nel prato… le dislocazioni, o meglio la contemporaneità degli eventi in luoghi diversi, vicini e lontani, questa buffa realtà che fa combaciare e convivere tasselli di felicità con tasselli di tragedia, è l’irrimediabile nonsenso che cuce maldestramente i fatti individuali e storici.
“Il cielo non sente le grida / di quelli che affogano ma io sì”, perché questa terra è “grown numb”, diventata insensibile, alle sue guerre, e ha rinunciato al lamento e al dolore.
Charles Simic gratta la superficie degli eventi, e anche quando dovrebbero essere felici, scopre “gli astuti ingannevoli fili / in cui sono imbrogliate le nostre vite”. E in che animale trasformerebbe Ovidio questi mostri assassini? Il poeta latino dice che il padre degli dei non riuscì a trovare una sola specie adatta (lo dice anche Charles Simic). Le metamorfosi non funzionano, siamo gli ultimi prodotti dell’evoluzione, quelli perfetti per l’estinzione, perciò “ascoltami che ti racconto perché / ho paura di te e mi tengo / ben nascosto su un albero / dove me ne sto con uno dei tuoi gufi”.

Ma questo non è il commiato. Infatti chiude così: facciamo un altro picnic. E se verrà il buio e non ci sarà la luna piena, allora ci affideremo “a una scatola di fiammiferi” (a book of matches). Una bustina di Minerva, nella più corretta scelta dei traduttori, considerando anche la citazione dei gufi. Saggezza e senso d’orientamento dell’autore. Dunque, ‘Avvicinati e ascolta’ rivela una poesia consapevole del rumore di fondo nel quale cerca di farsi ascoltare e che confida in una propria bussola interiore. E tenacemente nella luce dei suoi fiammiferi.


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Scheda libro

Autore: Charles Simic

Titolo: Avvicinati e ascolta

Titolo originale: Come closer and listen

Traduzione: Versione di Damiano Abeni e Moira Egan

Editore: Edizioni Tlon (2021)

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