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Cristo si è fermato a Eboli, la civiltà contadina tra magia e religione

Dal risvolto di copertina di Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi (Einaudi 1975): «Questo libro racconta, come in un viaggio al principio del tempo, la scoperta di una diversa civiltà. È quella dei contadini del Mezzogiorno: fuori della Storia e della Ragione progressiva, antichissima pazienza e sapiente dolore […] Vi si esprime una visione complessa, nella quale gli infiniti punti di vista sono legati insieme come in un solido attorno a cui l’occhio può girare, scoprendo aspetti sempre nuovi […]. Il lettore può trovarvi insieme una ragione di poesia, un modo di linguaggio, uno specchio dell’anima, e la chiave di problemi storici, economici, politici e sociali altrimenti incomprensibili»

Cristo si è fermato a Eboli: la sinossi

Nel 1935 Carlo Levi, viene arrestato per attività antifascista e condannato al confino in Basilicata, prima a Grassano e poi ad Aliano, che nel libro viene chiamata Gagliano. Qui nascerà Cristo si è fermato a Eboli, romanzo autobiografico scritto tra il dicembre del 1943 e il luglio del 1944 e pubblicato, nel 1945, da Einaudi. Il libro si apre con le parole: «Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare la Storia» (3).

Il paese e i personaggi

Gagliano è un paese arretrato e il «contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte» (3). Levi conosce le condizioni di miseria vissute dai contadini e rimane colpito da questo paese, devastato dalla malaria e dalla povertà.
Gli abitanti si dividono in due classi: i proprietari terrieri e i contadini poveri, che dicono «noi non siamo cristiani, Cristo si è fermato a Eboli» (3), mettendo a nudo uno sconsolato senso di inferiorità.
Ad Aliano, lo scrittore è accolto bene e fa la conoscenza di diversi personaggi, fra cui spiccano due medici tra loro rivali, dottori Milillo e Gibilisco, che poco sanno di medicina; la domestica Giulia, accusata di stregoneria; il parroco Trajella che conduce uno stile di vita poco consone alla sua veste; il podestà professor Luigi Magalone e sua sorella Caterina.

Nel periodo di confino, si verifica un lutto familiare, e Levi, per un breve periodo, torna nella sua città, Torino, dove si rende conto di quanto sia cambiato a causa del confino. Al suo ritorno ad Aliano, trova delle grosse novità: la domestica è scomparsa e il parroco Trajella, avendo celebrato la messa in stato di ubriachezza, è stato allontanato. Cristo si è fermato a Eboli si conclude con il ritorno a casa dello scrittore, grazie all’amnistia. Carlo Levi non farà più ritorno ad Aliano, nonostante lo avesse promesso ai contadini, addolorati per la sua partenza.

La magia e la religione

Nel libro Cristo si è fermato a Eboli l’atteggiamento degli abitanti di Gagliano nei confronti della Chiesa è ferocemente illustrato dalle parole di don Trajella: «È un paese senza Dio […] in chiesa ci vengono o ragazzi per giocare […] Se no, non ci viene nessuno. La messa la dico ai banchi. Neppure battezzati, sono». (35); credono però, agli angeli che al tramonto scendono dal cielo: «Uno si mette sulla porta, uno viene alla tavola, e il terzo a capo del letto. Guardano la casa e la difendono. Né i lupi né gli spiriti cattivi ci possono entrare, per tutta la notte» (134).

Quando la vita di un bambino malato è in pericolo, la madre avverte subito il prete per farlo battezzare, così il bambino non diventerà un monachicchio. Ma, chi sono monachicchi? Sono «gli spiriti dei bambini morti senza battesimo: ce ne sono moltissimi qui, dove i contadini tardano spesso molti anni a battezzare i propri figli. […] Sono esseri piccolissimi, allegri, aerei: corrono veloci qua là, e il loro maggior piacere è di fare ai cristiani ogni sorta di dispetti» (129-130).
Stanno a guardia di tesori nascosti e da loro ci si può difendere solo acchiappandoli per il cappuccio rosso.

In Cristo si è fermato a Eboli Carlo Levi  non condanna queste credenze e non cerca di demolire il mondo “incantato”; infatti, esercita la sua professione di medico «avendo cura però di non contraddire le pratiche magiche» (212) che curano «un po’ tutte le malattie; e, quasi sempre, per la sola virtù di formule e di incantesimi» (209).

Alcune di queste pratiche fanno parte del corredo locale, altre, invece, «appartengono al corpus classico dei formulari magici» (209), e considerando il forte impatto che questi hanno su quanti credono, Levi se ne serve e dice: «Io rispettavo gli abracadabra, ne onoravo l’antichità e l’oscura, misteriosa semplicità, preferivo essere loro alleato che loro nemico, e i contadini me ne erano grati, e forse ne traevano davvero vantaggio. Del resto, le pratiche magiche di quaggiù sono tutte innocue […] L’abitudine di dare a ogni malato, per ogni malattia, anche quando non è necessario, una ricetta, è una abitudine magica: tanto più se la ricetta era scritta, come un tempo, in latino, o almeno con calligrafia incomprensibile. La maggior parte delle ricette basterebbe a guarire i malati, se, senza essere spedite, fossero appese al collo con una cordicella, come un abracadabra» (210).

L’atteggiamento dello scrittore verso l’universo magico dei contadini si può rilevare anche dall’impiego dei modi verbali, e parlando della doppia natura degli uomini e animali, degli incontri dei contadini con il diavolo, fa uso dell’indicativo: «Alcuni assumono questa mescolanza di umano e di bestiale soltanto in particolari occasioni. I sonnambuli diventano lupi, licantropi, dove non si distingue più l’uomo dalla belva. Ce n’era qualcuno anche a Gagliano, e uscivano nelle notti d’inverno, per trovarsi con i loro fratelli, i lupi veri […] la doppia natura è talvolta spaventosa e orrenda […]ma porta con sé, sempre, una attrattiva oscura, e genera il rispetto, come a qualcosa che partecipa della divinità» (99).

Affiancata al mondo magico, troviamo la devozione nei riguardi della Madonna che Carlo Levi conoscerà durante la festa patronale: una Madonna dal viso nero, che «non era la pietosa Madre di Dio, ma una divinità sotterranea, nera delle ombre del grembo della terra, una Persefone contadina, una dea infernale delle Messi» (104), espressione di un articolato rapporto tra religione e magia.

Le donne… e Giulia

Le guardiane di antichi saperi sono le donne che Levi dovrebbe evitare (stando ai suggerimenti del dottore di Gagliano) «Si guardi soprattutto dalle donne […]. Non accetti nulla da una donna. Né vino, né caffè, nulla da bere o da mangiare. Certamente ci metterebbero un filtro […] Tutte le faranno dei filtri […] questi filtri sono pericolosi» (13).
Già dalle prime pagine del romanzo, quando l’autore descrive la sua prima casa, si ode il racconto della vedova che lo ospita: per opera dei potenti filtri magici di una strega, aveva perso il marito che, da una relazione clandestina, aveva anche avuto un figlio illegittimo. E, siccome l’uomo aveva voluto porre fine alla «relazione peccaminosa, la strega gli aveva dato un filtro per farlo morire» (8).

Ci sono molte donne maghe nel paese «quelle che avevano avuto molti figli di padre incerto […] facevano tuttavia mostra di una certa libertà di costumi, e si dedicavano insieme alle cose dell’amore e alle pratiche magiche […] curare malattie con incantesimi» (90-91). Ricordiamo una delle streghe contadine del paese: la più modesta di tutte, la più brutta e la più bonaria, La Parroccola, chiamata così a causa di «un grosso testone, che la faceva assomigliare al bastone pastorale del parroco» (189).

In questo universo femminile, spicca Giulia Venere detta La Santarcangelese: «Nella cucina più misteriosa dei filtri, Giulia era maestra: le ragazze ricorrevano a lei per consiglio per preparare i loro intrugli amorosi. Conosceva le erbe e il potere degli oggetti magici. Sapeva curare le malattie con gli incantesimi, e perfino poteva far morire chi volesse, con la sola virtù di terribili formule» (93).

Giulia, è descritta attraverso un nome Giulia, un cognome Venere e un soprannome La Santarcangelese; quest’ultimo, in maniera dispregiativa, indica il suo paese di nascita, mal visto dagli abitanti di Gagliano.

È una donna intelligente e coraggiosa, dotata di sapienza antica ed esperta in rituali magici: è la figura che meglio impersona il connubio di femminilità e potenze nascoste. Porta sempre con sé Nino, suo figlio, ed è una vera regina della casa: inizierà Carlo Levi ai suoi saperi, fornendogli la chiave per entrare nel mondo dei contadini.

Levi impara una poesia magica, «Stella, da lontano te vuardo e da vicino te saluto/‘N faccia te vado e ‘n vocca te sputo. /Stella, non face che ha da murì /Face che ha da turnà /E con me ha da restà» (147) la cui funzione sarebbe quella di far tornare le persone lontane. «L’ho provata, qualche volta, ma non mi è servita» (138), confesserà serenamente lo scrittore.

E gli uomini?

Nel libro Cristo si è fermato a Eboli non soltanto le donne attraversano mondi altri e manipolano energie oscure e segrete. L’autore un giorno, si reca al cimitero per leggere in un luogo al riparo dal sole. Qui incontra una persona anziana, nota in paese per il suo filo diretto con il potere invisibile.
Fu lui a domare i lupi che scendevano d’inverno tra le case per procacciarsi cibo; fu lui a cadere impotente quando una capra gli sbarrò la strada attraversando la gola [23] che strozza la parte sommitale del corso del paese, meglio nota come Timbone degli Angeli.

Il paese è abitato anche da molte creature eccentriche «che partecipano di una doppia natura […] una donna che non mostrava, a vederla nulla di particolare, era figlia di una vacca. Così diceva tutto il paese, e lei stessa lo confermava. Tutti i vecchi ricordavano la sua madre vacca» (98).
Per i contadini esisteva anche «la donna-vacca, l’uomo-lupo, il Barone leone, capra-diavolo … ogni persona e ogni oggetto, ogni parola partecipa di questa ambiguità» (102).

Si può parlare di uomini-bestie e di bestie-spiriti. «Tutto, per i contadini, ha un doppio senso. La donna-vacca, l’uomo –pupo, il barone-leone, la capra-diavolo […] ogni persona, ogni albero, ogni animale, ogni oggetto, ogni parola partecipa di questa ambiguità» (p.102). «I contadini dicono che la capra è un animale diabolico. Anche gli altri fruschi sono diabolici: ma la capra lo è più di tutti. […] essa è demoniaca come ogni altro essere vivente, e più di ogni altro essere […]. Per il contadino essa è realmente quello che era un tempo il Satiro.» (58).

La ragione, assieme alla religione e alla storia, hanno un senso univoco e non trovano posto nel mondo dei contadini perché «Tutto è, realmente e non simbolicamente, divino, il cielo come gli animali, Cristo come la capra. Tutto è magia naturale» (102).

Cristo si è fermato a Eboli, conclusioni

L’uscita de Cristo si è fermato a Eboli ebbe una cattiva accoglienza: gli alianesi si sentirono insultati e offesi dal modo con cui Carlo Levi aveva reso note le loro condizioni di vita. Anche Giulia non accettò con favore quanto lui avesse scritto nelle pagine a lei dedicate, contrariandosi per l’aver raccontato le sue vicende personali.
Levi, invece, volle rappresentare l’universo contadino senza mai giudicarlo e, ponendosi come osservatore armato di carta e penna e di cavalletto e tela, non lo ha respinto, anzi si è lasciato sedurre.

 

 


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Scheda Libro Cristo si è fermato a Eboli

 

Titolo: Cristo si è fermato a Eboli

Autore: Carlo Levi

Editore: Einaudi

Prima edizione: 1945

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