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Il cavaliere inesistente, un viaggio nell’assenza

“Rambaldo aveva alzato il capo e guardava nelle fessure della celata, come cercasse in quel buio la scintilla d’uno sguardo.
– E com’è?
– E com’è altrimenti?”
(da Il cavaliere inesistente, di Italo Calvino)

Un viaggio nell’assenza, per affermare chi davvero c’è

Chi è o non è il cavaliere inesistente? Agilulfo, assente sotto la sua bianca armatura, che infligge un ordine disperato alle cose per ancorarsi alla terra?
O piuttosto Bradamante che di troppi uomini di carne ormai non sa che farsene e sublima l’amore condannandolo alla perfezione, quella che davvero non esiste, e condannandosi, quindi, a non essere mai fino in fondo se stessa? O forse Rambaldo che nell’inseguire lei, insegue la legittimazione di sé, il proprio personale lasciapassare all’esistenza? Gurdulù che ‘non sa neppure se c’è o non c’è’ e intanto assorbe dalle cose la loro sola inconcludenza ed è, inutilmente, dappertutto?

Torrismondo così provvisorio sul mondo perché spezzato all’origine, oppure la suora che scrivendo vive le vite di altri, come penitenza per non saper scegliere la propria? Chi è che esiste e non esiste, sembra chiedersi Calvino in questo libro, dichiaratamente avulso dal dibattito politico e invece tutto concentrato sulla natura umana, “sui rapporti tra esistenza e coscienza tra soggetto e oggetto, sulla nostra possibilità di realizzare noi stessi e di entrare in contatto con le cose“?

Cercare l’approdo, sperando in un eterno mare

Così ne scrive l’autore in una lettera a ‘Mondo Nuovo’ del 3 aprile 1960, definendo ‘grottesca’ la lettura del libro in chiave politica intesa da Walter Pedullà in uno scritto dal titolo “Il romanzo di un ex comunista”.
Allora, autorizzati a leggere fuori da ogni contingenza, ci chiediamo se la domanda non sia se siamo, ma ‘dove’ siamo, ovvero in quale luogo, differentemente gli uni dagli altri, troviamo lo slancio alla nostra esistenza.
E se questo ‘dove’ poi sia davvero differente o se, invece, si scopra uguale nella passione, che è l’unica cosa che davvero muove. E quindi se sia l’esistere anche nel mai esistere a pieno, in quell’essere mezzi vuoti che genera l’insofferenza quando è motore e non rassegnazione. “E io amo, o morto, la mia ansia, non la tua pace” dice Rambaldo. E Carlomagno stesso, fermo nel suo cerimoniale, ombra dell’azione che è stato, individua la gioventù nel movimento, e riflette, Calvino, che nel godere del passato più che del futuro è l’amarezza della sua vecchiaia.

Il cavaliere inesistente: “Tutti dobbiamo imparare ad esistere”

E poi, banale a dirsi per quanto è evidente, ci sono in questo libro più guerre, quella contro gli infedeli e quelle, tanto più uniche, di ciascuno contro se stesso. Dalla prima arriva un identico rumore di pentole e coltelli a dividere i due fronti, rive immense che paiono occupare tutto il mondo conosciuto in un’estrema sintesi dell’esistenza, e poi la notte confini che si fondono quando, tutto capovolto, ci si accorge di stare sotto lo stesso cielo. E se questa guerra totale marcia a ritmo di cantilena e l’universo le va dietro stanco come un re intriso d’abitudine, le guerre dei puntini infiniti che fanno la retta sono sempre straordinarie.

Si legge benissimo nelle partenze improvvise dei cavalieri come si generi dai singoli lo scarto del divenire: Agilulfo a riaffermare l’onore che solo lo afferma, Bradamante ad inseguirlo, inseguendo un ideale d’amore tanto più concreto quanto più incorporeo, Rambaldo a gridarle dietro, ché senza di lei si sente scomparire l’essere e il futuro e Torrismondo, fin lì accampato, a volersi dare un confine, ritrovando la propria casata.
Tutti dobbiamo imparare ad esistere” fa dire Calvino ad una voce di popolo, che ha smesso di accettare e si è posto il dubbio. Eccolo l’esistere, che si dispiega nella molteplicità, nelle differenze, nelle pulsioni, nelle speranze, nella mancanza, e, appunto, nell’insoddisfazione. E soprattutto, nell’accettare il compromesso di essere uomini. Alla fine, si capisce.

“Non vedi come questa corazza ha perso il suo inutile candore ed è diventata un abito dentro il quale si fa la guerra, esposto a tutti i colpi, un paziente e utile arnese?”

Che si sporca, la bianca armatura di Agilulfo, soltanto indossata da Rambaldo e diventa l’oggetto che non è mai stata quando cede all’imperfezione. Si tinge del sangue dei nemici, si piega sotto i colpi, si riflette nelle sviste, si consuma negli errori. Adesso è nella mischia e ha un senso, assume un ruolo, pesa, copre, difende. Perché dentro ha qualcuno che sa di poter morire.

La pagina ha il suo bene solo quando la volti e c’è la vita dietro che spinge e scompiglia tutti i fogli del libro. La penna corre spinta dallo stesso piacere che ti fa correre le strade. Il capitolo che attacchi e non sai ancora quale storia racconterà è come l’angolo che svolterai uscendo dal convento e non sai se ti metterà a faccia con un drago, uno stuolo barbaresco, un’isola incantata, un nuovo amore”.

Chi è quindi il cavaliere inesistente se non chi tiene a bada la vita per la paura di viverla?


Il cavaliere inesistente copertinaScheda del libro Il cavaliere inesistente

  • Titolo: Il cavaliere inesistente
  • Autore: Italo Calvino
  • Editore: Mondadori, 2019
  • Prima edizione: Einaudi, 1959
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