ariodante ramovecchi

La laurea d’ombra. Racconto di Ariodante Ramovecchi

di Ariodante Ramovecchi

Avevano pensato a tutto loro, come sempre nel corso della sua giovane vita.
Prima, il locale per i festeggiamenti, ché per una felice coincidenza il figlio si sarebbe laureato il giorno stesso del suo compleanno; così avevano prenotato il pranzo in un agriturismo familiare di un paesino di trentasette abitanti arroccato su di una collinetta a metà strada tra l’abitazione e la vicina sede universitaria; la sala da pranzo disponeva di diciassette posti e tre tavolate: quella più corta in fondo al centro era riservata alla famiglia trina con il loro ragazzo in mezzo; le altre due lungo i lati e parallele come a formare un ferro di cavallo destinate ai parenti più stretti, agli amici e ai vicini di casa.
Poi, il menu, tipico del luogo e della stagione: tagliatelle ai funghi porcini, precedute da un tagliere di salumi e formaggio di fossa, costolette di agnello al forno con patate ed erba cotta saltata, fiumi di Sangiovese ad innaffiare il tutto, e infine la Veuve Clicquot per alzare i calici sopra una torta millefoglie su cui avrebbe svettato un’asta di pergamena di laurea issata al centro di una corona di 25 candeline rosse.
Quando il giovane aveva fatto sapere ai suoi che l’appello di laurea si sarebbe tenuto il giorno ch’era nato, loro l’avevano accolto come un segno della Provvidenza che a quel modo li ripagava di ogni sacrificio e rinuncia per l’unico figlio maschio procreato in una età sconsigliata dal ginecologo.
Nulla di quanto si poteva temere era accaduto in realtà, anche se al genitore era toccato di veder tirar fuori con il forcipe dal ventre della moglie stremata da una gravidanza allettata il neonato; quello gli avrebbe lasciato per ricordo una scalfittura sull’arcata destra del visino.
Lui, il padre, era un coltivatore diretto di un modesto appezzamento di terreno non distante dal condominio dove abitava al quarto piano la sua famiglia; la mattina all’alba scendeva per raggiungere i campi a piedi o in bicicletta nella buona stagione ché ogni giorno c’era qualcosa da tagliare, seminare, potare, piantare con le mani sue nodose o mietere con il nuovo trattore nelle terre aride e avare di pioggia e pure di prodotti da portare il sabato al mercato.
Aveva conosciuto solo in età matura la figlia di un fuochista della fornace con cui giocava a carte nell’unico bar di paese; il padre gliela aveva presentata per sistemarla, e lui se l’era fatta piacere anche agli occhi per il bisogno di un pasto caldo servito al ritorno dai campi e la voglia di un corpo ancor giovane di donna nel suo letto di ferro battuto; cosi si erano presto fidanzati per sposarsi di lì a breve prima che scadesse per lei il tempo biologico per concepire; la venuta al mondo del maschio gli aveva fatto perdere presto ogni attenzione e finanche desiderio, se mai vi fosse stato, da parte della moglie che aveva chiesto di separare le loro stanze; per cui nel letto matrimoniale era da tempo sostituito dal figlio che avrebbe dormito con la madre sino alla prima adolescenza; ma a quella castità costretta si era ormai assuefatto come fosse nell’ordine naturale delle cose che seguivano il ciclo delle stagioni con la sua prossima ormai all’autunno; le giornate uguali di fatica solitaria iniziavano alle prime ore del mattino per finire all’imbrunire quando rientrava sfatto in casa: la moglie aveva già servito la cena al figlio nella sua cameretta mentre la loro era da riscaldare sopra i fornelli della cucina economica; al primo di lui rumoroso sonno lei si ritirava in camera da letto per seguire da un piccolo schermo televisivo posto su un antico comò tarlato film gialli o commedie sentimentali in bianco e nero degli anni 50.
Lei, la madre, aveva studiato fino alla sesta elementare e usava un codice linguistico ristretto; nel tempo le era venuto il complesso di non esprimersi con parole adeguate al suo sentire peraltro confuso e indistinto da un più ordinato ragionare; per questo le piaceva ascoltare e con fatica assimilare termini ed espressioni del figlio, prima studente liceale e poi iscritto alla Facoltà di Lettere e filosofia; detestava ormai il dialetto nel tempo fattosi volgare del marito, sposato, ora lo sapeva per certo, solo per convenienza sociale e non voler dispiacere il padre; si era anche adattata a svolgere un lavoro indesiderato di pulizie negli uffici per integrare il magro reddito familiare e utile a mantenere agli studi il figlio e mandarlo all’università.
Su di lui aveva riposto ogni bisogno di elevazione culturale e di riscatto sociale avviluppandolo in un laccio morboso di cure e attenzioni; quest’ultime poi intrise di venature religiose per l’impegno di attivista in un movimento cattolico evangelico.
Lei sola, in grazia di una naturale empatia materna, aveva colto nel figlio fin da piccolo un sentimento timoroso di sé e dello sguardo degli altri a motivo, credeva lei, del suo corpo atticciato e pingue che neppure in tarda adolescenza si sarebbe snellito e slanciato; le pareva che il figlio si affezionasse in modo sbagliato ai suoi pari, sia che si trattasse di prime amicizie o acerbi amorini, questi ultimi indifferenti al genere, nemmeno abbozzati e comunque non corrisposti; il suo fisico che cambiava in una stessa stagione massa, volume e contorni doveva, secondo la madre, averlo inibito da un primo rapporto sessuale o frustrato in qualche timido approccio; il tempo avrebbe comunque provveduto come aveva dimostrato in tarda età il marito con lei; non le dispiaceva in fondo che il ragazzo rimanesse ancora vergine e a lei assai attaccato, certa quale era di saturare ogni di lui bisogno quotidiano e di sicurezza emotiva; a lei sola poi l’adolescente confidava alcune crisi improvvise con sintomi di soffocamento nascoste al padre per non inquietarlo; ché del genitore, per la sua corporatura massiccia ancora in età avanzata e i tratti divenuti ruvidi, il figlio pareva avere soggezione più che rispetto mentre lei non ne portava alcuno per averlo da tempo in cuor suo disprezzato .
I suoi genitori, divenuto lui maggiorenne, non avevano mai voluto controllare il libretto universitario in costanza del ritardo di due anni sul corso regolare di studi; il fatto aveva causato un distacco inevitabile dai suoi vecchi compagni di liceo già in odore di laurea con i quali il giovane non era visto più intrattenersi e restare per questo isolato nello studio e nelle ore libere; il padre, nonostante il fuori corso e le tasse in più da pagare, appariva comunque fiero del figlio che sarebbe stato Il primo della sua progenie contadina a divenire dottore; negli ultimi tempi il giovane non frequentava l’ambiente della Facoltà di Lettere e la biblioteca universitaria per voler ultimare la tesi in camera sua dove lo si sentiva declamare in inglese qualche passo di un testo letterario.
La madre intrigata dal tono di voce solenne e altisonante aveva chiesto al figlio quale fosse il tema che avrebbe discusso con i relatori per la tesi di laurea; lui aveva risposto che voleva tenerlo segreto in modo che rappresentasse una vera sorpresa, per loro genitori in particolare.
La mattina del giorno fatidico i suoi erano usciti presto di casa per lasciare indisturbato il figlio che avevano colto già sveglio alle prime luci dell’alba e impegnato a ripassare la tesi a voce alta.
Loro si erano vestiti già di tutto punto con i nuovi abiti cuciti su misura dal sarto del paese dopo le prese e le prove in casa; avevano fatto più di un giro intorno alla piazza per voler esser notati non solo dai vicini e dai condomini; con alcuni di questi si erano fermati più del solito a far due chiacchiere che non fossero al solito sul clima e la salute ma pure per ricevere e gradire i complimenti per il figlio che si laureava quel giorno.
Il padre, persona con la mania dell’ordine e della puntualità, avvertiva un po’ di ritardo sui tempi e impaziente fissava la finestra della loro abitazione al quarto piano che si affacciava sul parcheggio a loro riservato.
La macchina del giovane era lì posteggiata ferma da giorni e nel caso fosse partita si doveva ancora misurare il livello dell’olio e fare il pieno di benzina al distributore; a questo pensava e ad altri contrattempi il padre che avrebbe voluto salire di sopra, prendere le chiavi e metterla lui in moto l’auto e farci un giro; ma era stato trattenuto dalla moglie che temeva che quel suo agitarsi provocasse solo ansia al figlio: lui doveva solo darsi una regolata e pazientare insieme a lei lì di sotto: se il ragazzo non era ancora sceso doveva avere i suoi buoni motivi; peraltro la madre aveva sempre associato la nota lentezza del figlio nel portare a compimento le cose e nell’impiegarvi più tempo di altri al suo esser nato in ritardo di qualche giorno; lei era convinta che i suoi tempi fossero quelli di un perfezionista quale le appariva il figlio suo.
Una cosa non potevano prevederla i genitori, ché quella doveva essere la sorpresa che il ragazzo avrebbe serbato loro: lui non sarebbe sceso per le scale con la sua borsa nuova di pelle pregiata firmata “the Bridge”, regalata insieme a un biglietto di andata e ritorno per Londra dove nei pub si esibiva un gruppo di “scarafaggi” con caschetto folto a frangetta, pantaloni a zampa di elefante e casacca nera che spopolava quei giorni fra gli adolescenti.
Lui no, aveva scelto di volare giù dal quarto piano senza un grido e nelle mani un libro come talismano: era “Il profeta” di Khalil Gibran, il testo che forse avrebbe voluto portare per la tesi di laurea quando avesse superato gli esami ancora mancanti.
Nel libro loro avrebbero poi trovato sottolineata per intero in ogni sua strofa la poesia “I figli”, la stessa che gli avevano sentito declamare in una lingua straniera.


L’autore

Ariodante Ramovecchi è nato nel 1950. Laureato in Giurisprudenza, ha lavorato a Pesaro come fuzionario direttivo del Ministero del Lavoro. Successivamente si è specializzato in formazione formatori a Roma e ha svolto diversi lavori in quest’ambito sia in Italia che all’estero. Fragili attese è la sua prima pubblicazione.


La laurea d’ombra. Racconto di Ariodante Ramovecchi – Il Cappuccino delle Cinque

di Ariodante Ramovecchi

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Autore: Ariodante Ramovecchi

Pubblicato in Racconti.

Un commento

  1. un racconto che mescola in modo evocativo e delicato i sapori di altri tempi con i tristi accadimenti dell’attualità. I pasti caldi al ritorno dai campi,le mani nodose,la cucina economica,il tema a sorpresa della tesi, ci riportano a una realtà “protetta” dalle certezze di sempre che però vacillano nell’attualità nascosta,confusa e impalpabile del peso delle aspettative.

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