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‘Un amore’ di Dino Buzzati e la fantastica caduta nell’abisso

“Un mattino del febbraio 1960, a Milano, l’architetto Antonio Dorigo, di 49 anni, telefonò alla signora Ermelina”.

Comincia così Un amore il romanzo ‘eccentrico’ di Dino Buzzati, uno dei più prolifici intellettuali italiani: scrittore e giornalista -fu una firma storica del Corriere della Sera- pittore e poeta, drammaturgo, scenografo e costumista.
Un incipit rigoroso, che potrebbe sembrare soltanto interlocutorio, ma che invece contiene la direttrice del libro: il sovvertimento della realtà e dei suoi elementi, il luogo, il tempo, la consapevolezza di uno status, la condizione dell’età matura, sullo sfondo di una città, Milano, che è quinta di teatro, la messa in scena fantastica della caduta nell’abisso.

La clandestinità tra fiaba e profanazione

“Tessuto nero preferibile”.
“Nero, nero, lo so, come il carbone”.

Ermelina è la maîtresse di una casa di appuntamenti. All’inizio di Un amore lei e Dorigo parlano di stoffe al telefono, perché con l’entrata in vigore della legge Merlin –era il 1958 e il libro fu pubblicato pochi anni dopo, nel ’63- si è ormai nel pieno della clandestinità.
Buzzati contro quella legge si espresse pubblicamente, parlando del troncamento di un ‘filone di civiltà erotica’: “La Merlin – scrisse – può essere paragonata a quell’Erostrato che è leggenda abbia appiccato il fuoco alla grande biblioteca d’Alessandria, distruggendo un immenso capitale di cultura, mai più recuperato”.

E’ così per l’ingegner Dorigo, ‘borghese nel pieno della vita, intelligente, corrotto, ricco e fortunato’, simpatico con tutti che nemmeno lui sa spiegarsi come, ma con le donne impacciato, chiuso, fino ad apparir scostante, forse a causa di una superiorità intellettuale scambiata per supponenza.
A lui quegli incontri clandestini, anche se ormai abituali, sembrano sempre un miracolo.
Non soltanto per la fisicità e poco c’entra l’istinto bestiale, piuttosto per la devozione alla donna come creatura altra, straniera, ‘vagamente superiore e indecifrabile’ e quindi per la meraviglia, che lo lascia ogni volta incredulo, di poterla possedere così facilmente, sborsando soltanto poche lire.

L’atteggiamento del protagonista, condizionato dalla sua educazione cattolica, è contraddittorio: a un piacere, tanto più intenso quanto più dichiaratamente immorale, si mescola il dolore per quella che è quasi una profanazione: “Eppure, c’era dentro qualcosa di turpe. La prostituzione forse lo attraeva proprio per la sua crudele e vergognosa assurdità”.

Un identico segreto

“Dovunque c’era nascosto il pensiero inconfessato di lei, anche se non sapevamo neppure chi fosse”.

Il protagonista di Un amore a tutto questo impone orizzonti separati: da una parte la famiglia, entità intoccabile, accennata e mai descritta, dall’altra il lavoro ben pagato di artista ‘quasi celebre’ e, infine, l’abitudine, falsamente incasellata, al desiderio.
Perché quello che sa, che tutti sanno senza il coraggio di ammetterlo, è che dentro il lavoro frenetico della città, della casa di fronte, delle case invisibili nella nebbia, dentro le penne, gli utensili e gli arnesi, dietro la falsa morale, nel pensiero dei benpensanti, in ogni angolo della società, c’è quello stesso desiderio.

Ciò che capirà davvero, però, è che dovunque, nel mondo animato e inanimato, in un paesaggio, un monumento, una piazza, nelle file di alberi che gli corrono a fianco sulla strada per raggiungerla, c’è sempre un identico segreto, senza il quale niente avrebbe motivo di esistere: il pensiero che si materializzi l’amore.

“Che senso la muraglia degli antichi faraoni se nell’ombra dello speco non potessimo fantasticare di un incontro? E l’angolo del borgo fiammingo che ci potrebbe importare o il caffè del boulevard o il suk di Damasco se non si potesse supporre che anche lei un giorno vi passerà, impigliandovi un lembo di vita?”.

Davanti all’amore, per la prima volta un bambino

Lo capisce, Dorigo, quando conosce Adelaide Anfossi, una delle ragazze di Almerina, giovanissima e insolente, triste e irresistibile, sedicente ballerina alla Scala, con pochi mezzi e nessuno scrupolo che sogna la bella vita.
Dietro di lei si muove Milano, il rimando al fantastico, la Fortezza Bastiani creata a immagine e somiglianza del protagonista, dove la nebbia nasconde un sottobosco anonimo che pullula di chi è rimasto indietro.

L’amore per la Laide, sarà una vera e propria regressione: da lei si lascerà umiliare, confondere, ossessionare, tornerà bambino, facendosi privare di qualunque prospettiva.
Lei guarda costantemente altrove, lo spaccia come suo zio, lo provoca e lo sfrutta, per denaro, per comodità, per capriccio, è professionale, puntuale, seriamente disinteressata.
Lui resta un borghese impermeabile ai cambiamenti, per salvarsi tratta sulla linea del compromesso proponendole un contratto a giorni fissi che invece di sollevarlo lo condanna a una più metodica schiavitù, mai, però, prenderà in considerazione la possibilità di farla entrare davvero nel suo mondo.

La malattia del vero

Insomma, non c’è storia in questa storia, anche se ciò che trasforma un uomo maturo in un bambino, che lo svilisce e lo ridicolizza per tutta Milano, che per la prima volta gli fa sentire sotto le mani la vita, è un amore vero e sul fallimento si può discutere.
“… era una cosa un po’ stupida disinteressata e pazza che chissà come scaturiva da uno schifoso borghese come me era uno squillo lungo di tromba era un’antenna di luce era forse il volo fischiante e selvaggio del macigno che piomba giù a picco nell’abisso e là in fondo si spappolerà ma intanto vive vive, misericordia di Dio era l’amore”.

Ma nemmeno la pienezza di vita è destinata a durare se non si trasforma. Come il fuoco che ha un tempo stabilito per arrivare al culmine e per scemare, l’estasi si spegne, la battaglia è definitivamente persa, non tanto perché cambia qualcosa nei fatti – la Laide torna sempre, è coerente nella sua vacuità – semplicemente perché la febbre scende e si guarisce.
Il macigno smette di assaporare il volo, torna ad aver paura della morte e si ammala di un’altra malattia: la realtà che per due anni aveva scongiurato.

“Fuoco che ha finito di bruciare, nuvola che ha fatto pioggia e la nuvola adesso non c’è più, musica giunta all’ultima sua nota e dopo altre note non verranno…”.

Un amore, il romanzo ‘eccentrico’ messo in discussione dalla critica

“Può sembrare ridicolo che un autore voglia difendere sé stesso prima ancora di essere pubblicamente accusato. Ma è istintivo mettere le mani avanti. E mi illudo che chi leggerà il libro si renderà conto fin dalle prime pagine che a dettarlo non è stata la moda ma qualcosa di molto più serio”.

Buzzati ‘mette le mani avanti’ scrivendo così, qualche giorno prima dell’uscita di Un amore, in un articolo sul Corriere della Sera.

Sa che il libro farà scalpore per il radicale cambiamento di tema e di stile rispetto ai  precedenti – su tutti Il Deserto dei Tartari e i Sessanta Racconti che gli valse il Premio Strega – ispirati ad atmosfere fantastiche e surreali.
Critici e letterati ne discuteranno pubblicamente mettendo in piedi un processo a Dino Buzzati nel quale lo accuseranno di aver perso l’originalità letteraria per aderire a un realismo del quale c’erano già troppi, analoghi esempi.
Si alzarono molte voci: chi lo apprezzò difendendone il coraggio di un radicale rinnovamento –Eugenio Montale, Ida Tutino, Oreste Del Buono tra questi- chi il rinnovamento lo contestò, considerandolo un espediente per adeguarsi ai gusti del mercato, chi dichiarò il libro immorale, invocandone persino la censura.

Anche lo stile fu visto come un azzardo, per i lunghi monologhi senza punteggiatura, le forme verbali discordanti, le frasi gergali, le parole che precipitano sul foglio senza pause, tutte scelte che sessant’anni fa erano per lo meno inusuali.
Lo stile, però, non è gratuito, ma in linea con l’andamento del libro: un alzarsi di toni che rende bene l’ubriacatura, simulando il discorso interiore e soprattutto l’ossessione amorosa, che fa  le regole a modo suo, a volte ottunde e a volte libera il pensiero, togliendogli ogni freno.
I lettori ebbero pochi dubbi: il libro divenne in poco tempo uno dei più grandi bestseller dell’epoca.

‘La decisione di vivere allo scoperto’

Buzzati visse davvero nel 1959 un rapporto sentimentale tormentato con una giovane ballerina, ma negherà per Un amore l’ispirazione autobiografica affermando che Laide non esiste ed è frutto di più ritratti femminili. La circostanza, però, al di là del giudizio di merito sulla rivoluzione stilistica attribuita al romanzo, conferma ciò che più ci interessa: il profondo coinvolgimento personale che sta alla base di questo libro.

Scriverà Guido Piovene: “È abbastanza vana la critica che, di fronte a un libro, e specialmente a un libro di questa fatta, si mette a computarne i pregi e i difetti: gli uni producono gli altri e sono inseparabili gli uni dagli altri.
Positiva mi sembra, soprattutto dopo molte finzioni volontaristiche, la decisione di Buzzati di vivere allo scoperto, di rendersi interamente pubblico fino ai confini del ridicolo, che è ridicolo solo per la gente meschina”
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Un Amore Dino Buzzati copertinaScheda tecnica del romanzo Un amore

 

Titolo: Un amore

Autore: Dino Buzzati

Prima edizione: Arnoldo Mondadori Editore – 1963

 

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