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Il prigioniero dell’interno 7 di Marco Presta, le storie che ci tengono in vita

“Non esiste sensazione più pericolosa nella vita che sentirsi al sicuro”.

Cosa ci tiene in vita quando tutti i riferimenti circostanti si eclissano? Le storie.
Il prigioniero dell’interno 7 di Marco Presta (Einaudi) è una storia colma di storie, nella quale è bello sostare, come chi andando per via si arresti all’improvviso a considerare uno scorcio sorprendente. Storie buffe, paradossali, sorprendenti. Fiutate, seguite, dissotterrate dalla coltre del già visto, del già sentito. Soppesate con cura, senza fretta, per saggiarne le potenzialità. Non c’è alcun motivo di correre, il tempo d’un tratto dilatatosi a piacimento nella bolla del lockdown.

Il prigioniero dell’interno 7: la trama

L’infanzia di Vittorio, il protagonista, odora dei sentori del piccolo emporio alimentare gestito dai genitori nel quale è cresciuto, il suo presente dell’aria stantia di un appartamento che gli sta stretto, “immerso nel nulla, un nulla arredato e confortevole”.
Per professione, Vittorio commenta le notizie più curiose che circolano in rete; scrive corsivi per un quotidiano, uno dei lavori “più crudeli al mondo”, tra le pochissime attività che la serrata in occasione del picco pandemico non abbia messo in ginocchio. La sua specialità sono i fatti curiosi e un po’ strampalati. Li fiuta, li trasforma in notizie.

Notizie singolari, che nel loro sensazionalismo dimesso fanno sorridere, piangere, riflettere. Nelle quali finiamo senza volere per specchiarci, ricevendone in cambio quel sussulto che ci fa sentire vivi, pur tra quattro mura. Ed è con una notizia sorprendente che principia ciascun capitolo di questo romanzo che ha il respiro cadenzato dei pezzi freschi di tastiera, e che tiene compagnia con piacevolezza. Una al giorno, immancabile come il sorgere del sole.

Un minuscolo universo

Antonietta, la donna delle pulizie, è l’unico essere vivente abilitato a invadere gli ottanta metri quadri nei quali è stipata tutta una vita.
Una vita aperta alle sirene di un mondo che, mai così lontano, non è possibile avvertire più vicino, la cui risacca lambisce i confini di quel minuscolo universo rinchiuso in un guscio di mattoni e calcestruzzo. Il futuro con le fattezze di un muro, tenuto in vita dalla litania incessante di radio e televisori.
Gli appartamenti trasformati in fortini avvolti nella nebbia di un tempo sospeso, dove il tepore accogliente suggerisce di rimanere rintanati, e dove un’angoscia strisciante si incolla ai gesti quotidiani. Resistere, non importa a quale prezzo, con l’unico conforto della compagnia degli amici quattrozampe, sodali di una prigionia tutto sommato liberante, in primis dai luoghi comuni.

Tutto intorno, un senso di catastrofe incombente: rapporti nevrotici, evanescenti, compromessi da una diffidenza nuova che rinvigorisce quelle passate, dal terrore onnipresente del contagio. Non fa eccezione alla regola il rapporto tra Vittorio e Floriana, donna emancipata e fidanzata fantasma che la pandemia tiene forzatamente lontana, con malcelata soddisfazione di ambo le parti; fino a quando, a un certo punto, è la stessa Floriana a installarsi senza tante spiegazioni a casa di Vittorio, con la sua avvenenza invadente e invitta.

Tempo di interrogativi, per Vittorio, che in controluce alle conversazioni telefoniche con la madre anziana, insofferente alle restrizioni, vede scontrarsi le opposte fazioni dei sensi di colpa e dell’urgenza di leggerezza. Gli viene da domandarsi se abbia ancora senso rimanere saldi, tentare di opporre resistenza alla dilagante psicosi di massa che costringe l’Italia in coda davanti ai supermercati per garantirsi la dose quotidiana di rifornimenti alimentari e di gadget per l’imminente fine del mondo, tra sirene di autoambulanze e cene proibite, negli occhi di tutti una paura del domani che paralizza e incattivisce.
E che cresce nella “sfolgorante marginalità“ di sodalizi raccogliticci, dove quel che conta è non rimanere soli, non restare indietro. Incontri come sprazzi di autenticità comunionale negata, proibita, nei quali riscoprire un dialogo segreto che sappia svincolarsi dall’artificio della parola per parlare ai sensi: spazio dunque alla vista, all’olfatto, alle corde che sfiorano e a quanto d’ineffabile siano in grado di evocare.

L’imprevisto che sposta gli equilibri

L’annuncio della querela per diffamazione sporta da un colosso bancario si abbatte sulla testa e sulla quotidianità di Vittorio come un fulmine che non fa rumore: non fa una piega, è abituato a difendere le proprie convinzioni, a mettere in conto reprimende e ostilità in risposta ai suoi articoli, sa che spesso dietro molto rumore non c’è nulla.
Quel che mai avrebbe previsto, semmai, è il passo falso compiuto dal signor Amedeo, l’architetto dirimpettaio, ottantanove anni e una memoria claudicante, che chiude la porta di casa dimenticando le chiavi all’interno: si rende necessario approntare per lui una dimora temporanea e sarà proprio Vittorio a ospitare quell’uomo piombato nella sua casa come un pacco indesiderato.
Che nessuno sembra reclamare.

La figlia dell’uomo è ricoverata, e nessun altro nome affiora dalla superficie della sua memoria. Una situazione inedita nella sua scomodità, nella quale però tra i due uomini si instaura una sorprendente normalità, fatta di spazi delimitati con naturalezza e di premure d’altri tempi. Al punto che quando Mario, amico di vecchia data di Vittorio con un passato da malandrino e una passione per le serrature, avrà finito il suo intervento e Amedeo potrà fare ritorno a casa, il filo con Vittorio non si interromperà, e l’anziano continuerà a frequentare l’abitazione che lo ha accolto riempiendola della propria smemorata evanescenza.

I temi e lo stile

Il prigioniero dell’interno 7 è  romanzo che, al di là del piano meramente narrativo, peraltro assolutamente godibile, esplora il tema dell’intimità ai tempi del confinamento forzato, metafora estremamente convincente dell’odierna involuzione dei codici comunicativi, dell’affanno con cui il vicino viene accolto. Un vicino che non è mai stato così vicino e pure così lontano come nella parentesi temporale pandemica, e del quale si finisce per snasare ogni abitudine attraverso la carta velina delle pareti.

Una scrittura capace di strappare risate e sorrisi, grazie al ricorso felicemente insistito alle categorie del paradossale, del traslato, dell’aforistico. Nella quale la vis comica convive con lo sguardo limpido dell’uomo di mondo, con la pensosità impalpabile di chi insiste a cercare un senso negli eventi, nonostante tutto, optando per quello sguardo di grazia che solo permette di sorvolare il “tombino della nostalgia” sempre davanti il nostro piede.
Il sorriso come antidoto allo sgomento, dunque.
Come aliante a cui aggrapparsi.

Le vite disincarnate del III millennio

Una riflessione disincantata sulle vite disincarnate del III millennio, narcotizzate sotto cumuli di incombenze beffarde assunte come pasticche ansiolitiche, col proposito strisciante di procurarsi quella dose di stordimento necessaria a sopportare lo stato di cose senza un briciolo di voglia di impegnarsi per cambiarle. Vittime della violenza sussurrata di rapporti solipsistici, che si trascinano per convenienza reciproca, reticenza, inerzia.

Nella quale lo sgomento per una condizione fuori dal comune si amplifica fino a inghiottire le risibili certezze all’ombra delle quali ci trastulliamo nell’illusione di potervi trovare riparo.
Di poterci dire al sicuro.
E che al contrario ci sbattono in faccia nuovi interrogativi angoscianti.
Tra tutti, il più disturbante: quanta e quale parte di noi viene fuori nell’esperienza dell’isolamento, nel precipizio della cesura tra un “prima” e un “poi”?

Come i protagonisti di un immenso reality show a cielo aperto, come cani relegati a vivere un eterno presente del quale sembrano paghi.
Una considerazione che potrebbe sembrare irrilevante, se non persino controproducente; giova in realtà tornare con la mente ai giorni bui della pandemia, dell’isolamento domestico coatto: ci permette di guardare dalla necessaria distanza prospettica le nostre scelte.
Le nostre azioni.

Lo stile sardonico e la prosa tagliente, il talento di farci riflettere

Ne Il prigioniero dell’interno 7 il tratto più interessante della scrittura dell’Autore consiste forse nello stile sardonico, a metà tra il provocatorio e l’aforistico, immune da ogni stucchevole sussiego, in grado d’immergersi nell’irruenza genuina di un flusso di coscienza che ammicca al lettore, lo intrattiene, lo incoraggia a rilanciare, a cercare il senso sotto la superficie, a confrontarsi con emozioni cui è difficile dare un nome, cui non serve dare un nome.
A riflettere.
Con la salacità e lo humour sottile del giornalista di professione, con l’autoironia di chi ha imparato la lezione in un momento nel quale solo gli stolti sono impegnati a perseverare nei propri comportamenti.

La prosa appare concisa, asciutta, giornalistica. Con un gusto dichiarato per l’aforisma tagliente, per la battuta arguta. Numerose le riflessioni pungenti disseminate lungo i paragrafi, testimoni eccellenti di una originalità di pensiero che è requisito per l’esercizio di ogni autentica libertà, e di cui la parola scritta è bene si faccia garante.

Parole attraversate da una sottigliezza filosofeggiante alla quale viene facile affezionarsi, che permettono al lettore di varcare la soglia di un privato mai così privato, di seguire il flusso dei pensieri di un mite ribelle, intervallati a scene nelle quali protagonista diventa il modus operandi di un professionista dell’informazione. Che, di necessità, fa dello spigolare la sua professione, della professione la sua ragione di vita.
Un renitente al peggiore dei contagi, quello della rassegnazione.
Alla minaccia senza nome davanti alla quale ci scopriamo nomi, e non persone.
Inermi.

Guardare in faccia il “campionario di angosce” dell’uomo contemporaneo, ma farlo con un’apertura a un capovolgimento fecondo dei significati che possa generare nuovi significati, a un guizzo di pensiero che sveli, agiti e rimescoli. E che trasformi persino un insulso gargarismo in acuto.

Una finestra spalancata a una brezza di parole scelte e accostate con cura, di pensieri che tengono compagnia e incitano a sognare. Perché, al di fuori della trita retorica di slogan divenuti francamente indigesti, “andrà tutto bene”.


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Scheda del libro

Titolo: Il prigioniero dell’interno 7

Autore: Marco Presta

Editore: Einaudi

Anno: 2022


 

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