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‘Nebbia’ di Miguel de Unamuno, la vita inceppata nei rimandi

Che razza di uomo è Augusto Pérez? Un sognatore, certamente. Un uomo a suo modo candido ma ondivago, dall’indolenza snervante, che avanza a fari spenti nella vita.
Un uomo impalpabile, cui difetta la scintilla della volontà. Tutto sogni e niente obiettivi, incapace di darsi delle priorità, di perseguire un piano esistenziale nel quale credere. Condannato a sperimentare all’infinito l’inerzia del vivere, incapace di sorprendersi del fatto stesso di stare al mondo.
Fino al punto di perdersi di vista.

La trama di ‘Nebbia’ di Miguel de Unamuno

Il protagonista di ‘Nebbia’ di Miguel de Unamuno (Fazi Editore) è un uomo segnato da una solitudine di vita e di pensiero che lo rende segretamente inquieto: le sue azioni sembrano obbedire a logiche predeterminate, inconcludenti, per molti versi ambigue. Sprovvisto del pur minimo spirito di iniziativa, incapace di orientare intenzionalmente la propria esistenza, affetto da quella patologia cronica della volontà che sfocia nell’inania e prelude alla paralisi.
È mai possibile provare un briciolo di interesse per questo uomo diafano, incompiuto, vittima gentile delle proprie elucubrazioni inconcludenti, che si crogiola nell’insignificanza delle proprie giornate?
Eppure è la sua voce estranea al mondo che, parola dopo parola, diviene carne sulla pagina e si prende la scena, permettendo ad Augusto di farsi persona, di uscire da quella nivola indefinibile che avvolge il mondo in cui respira.

Sappiamo ben poco di Augusto: che è appassionato di scacchi e interminabili dormite, che vive accudito da due domestici, che è legato visceralmente a una madre venuta a mancare da sei mesi e che avrebbe voluto vederlo sposato. Nulla più. Uno stallo narrativo costruito per accumulazione di reticenze, porre termine al quale richiede un passo di lato. Ha le fattezze di doña Eugenia Domingo del Arco, insegnante di piano dai modi dimessi, lo scossone che darà impulso alla storia.

L’amore di Augusto per Eugenia: un sentimento incompiuto e indefinibile

È indefinibile, il sentimento che Augusto nutre per lei e che si intestardisce a chiamare “amore”. Quando tutto, nell’atteggiamento diffidente di Eugenia, suggerirebbe di volgere altrove le proprie mire. Sigillato nella propria infatuazione, ingabbiato nei propri soliloqui infarciti di aforismi e metafisica, Augusto circonda Eugenia di un’aura di indecifrabile sacralità. Vede in lei la pietra filosofale in grado di strapparlo all’insignificanza e di avviarlo a una vita appagante. Così facendo, però, Augusto finisce per rendersi cieco all’evidenza, coprendosi di ridicolo a furia di alzare la posta nel tentativo di lottare contro l’indifferenza di Eugenia, di rendersi visibile agli occhi dell’amata, fino a scivolare nel patetico. Quando viene a sapere che lui ha riscattato l’ipoteca sulla casa che lei abita insieme con gli zii, la reazione di Eugenia è stizzita e veemente: accuserà Augusto di volerla comprare facendo leva sulla sua indigenza, di tentare di estorcerle il consenso. Ferita nel proprio orgoglio, non tirerà indietro la mano e affonderà il coltello.
Lei è già fidanzata.

Non è disposta a rinunciare al suo Mauricio. Un fannullone e un debosciato, un uomo cinico e calcolatore con cui Eugenia è fidanzata da tempo e che, è del tutto evidente, non l’ha mai amata. Che, anzi, non esiterà, di fronte alla consistenza economica delle profferte di Augusto, a proporle di sposare quest’ultimo, avviando così il fianco di Eugenia allo sgombero.

Vite procrastinate, avvolte nella nebbia

Rifugiatosi nel frattempo nei consigli dell’amico Victor, Augusto viene a conoscenza del romanzo che l’amico starebbe scrivendo. Un’opera affetta, come per sinistro contagio, dalla medesima incompiutezza in cui si dibatte Augusto. Un romanzo, stando alle parole di Victor, privo di uno straccio di trama, che sembra scriversi da solo, calamitando al suo interno una varietà di personaggi usciti fuori dalla nebbia totipotente dell’estro creativo. È raccogliendo la confidenza dell’amico scrittore, a cui i personaggi starebbero prendendo la mano al punto da imporre alla sua penna i propri personali capricci, che qualcosa nella testa di Augusto farà clic.

Potrebbero essere tutti un’invenzione, una novella, una nivola, gli accidenti che trapuntano l’esistenza di Augusto? E, perché no, la sua stessa vita? Interrogativi affatto banali, la cui portata si allarga, fino a investire lo statuto di ciò che circonda il quotidiano di un uomo che aspira a rappresentare ogni uomo: la vita è realtà o finzione? Forza primigenia e fondante, o simulacro del sogno di Dio, cui rivolgere interminabili preghiere per cullarne il sonno e impedirgli di svegliarsi?

Una vita inceppata come un incontro a lungo fantasticato e mancato per un soffio: Augusto deciderà di farsi da parte, di rinunciare alla propria felicità, che sola può risiedere nel sapere felice Eugenia. Di ripararsi all’ombra consolatoria di una riflessione filosofica intesa nel suo significato deteriore di espediente per perpetrare il supremo autoinganno: impedirsi di scorgere la propria insipienza, di condannarla e di porvi rimedio, per affogare nelle gioie fugaci di un “amoricchio” dove l’identità del “tu” non ha alcuna rilevanza e rimane avvolta nella nebbia.

Miguel de Unamuno, i temi e lo stile

È la relazione tra vita e arte, tra forma ed essenza, il tema strisciante di un romanzo invertebrato, che gioca a costituirsi per giustapposizione eccentrica di tasselli narrativi. Dove i colpi di scena sono tutti interiori, e dove l’infatuazione acefala parla con la voce di un divinità capricciosa e imperscrutabile. Dove la dimensione analogica risulta cruciale per la comprensione e l’avvio di una riflessione critica sulla tentazione diabolica di scimmiottare la vita, di ridurla entro il perimetro angusto di un reattore sentimentale per emozioni preconfezionate. Dove, nell’atmosfera rarefatta che avvolge il romanzo fino a intitolarlo, l’elemento femminile gioca la parte del piano inclinato: fare “venire al mondo” Augusto, indurlo a fare una mossa, giusta o sbagliata lo scoprirà il lettore. A mettersi in cammino dentro la nebbia fitta di una vita lasciata a marcire nella soffitta delle quotidiane procrastinazioni.
A compromettersi.

Un romanzo onirico sulla balistica del desiderio, e sul fondo torbido delle ossessioni che lo agitano. Sulla tensione sommersa tra il conoscersi e il riconoscersi. Sull’egoismo delle relazioni, dove l’opportunità e l’interesse soffocano i presupposti stessi dell’amore, trasfigurandolo in un diaframma fantasmatico che (ri)mescola e confonde soggetto e oggetto. Dove gli sviluppi del corteggiamento si tingono delle sfumature tragicomiche dello stallo scacchistico, con esiti grotteschi che pongono il tema della beffa all’interno di un orizzonte di fatale inconsistenza, pervaso da un cupio dissolvi che fa l’occhiolino alla stessa Morte.

Un romanzo intessuto di un’ironia pensosa che riscrive l’epica dell’atto creativo, prototipo di ogni Amore, la sua collocazione liminale tra perfetto altruismo e supremo egoismo, e che investiga il tema della noia, il “terribile volto dell’eternità” che induce a vedere in un altro essere umano la dimostrazione tangibile di un indimostrabile teorema cosmico.

Una riflessione trasognata sull’illusione di poter dare, a chi si ama, la vita: non la propria, ma l’altrui. Concentrata in una duplice scomoda domanda speculare: si può amare senza conoscere? Si può amare una volta che si è conosciuto? Può il desiderio stesso dell’amore plasmare il proprio oggetto, cavarlo fuori dalla nebbia indistinta del possibile?

Un romanzo che eleva la nebbia a metafora della vertigine con cui ogni narrazione deve misurarsi per essere tale, del crocevia creativo nel quale volontà dell’autore e disposizione del lettore cospirano per dare vita a ciò che della vita ha solo il sembiante. Fino a instillare il dubbio numinoso che la Creatura possa, per il fatto stesso di risultare creata, essere non meno reale del Creatore. Che nulla, persino la possibilità di guidare la mano che la plasma, le sia precluso.

Una costruzione finzionale nella quale personaggi senza peso si muovono come fili di un discorso e pensieri nella testa, senza fare rumore, e dove le diverse sottotrame erigono un unico grande edificio speculativo sulla geometria euclidea dei rapporti, sul senso dello stare al mondo, sulla distanza insuperabile tra pelle e pelle che condanna l’uomo a una reciproca ontologica estraneità.

A ricordarci che, volenti o nolenti, siamo tutti sogni di carne.


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Scheda del libro

Titolo: Nebbia

Autore: Miguel de Unamuno

Traduttore: Stefano Tummolini

Editore: Fazi Editore

Collana: Le Strade

Anno: 2015

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