Il Commesso - Bernard Malamud Cover pagina

Il Commesso, tutto uguale a sempre nel negozio di Malamud

Il Commesso, pubblicato negli Stati Uniti nel 1957, è il secondo romanzo di Bernard Malamud. Nel 1959 contribuì a fargli vincere il “National Book Award”. In Italia fu pubblicato nel 1962.

Il Commesso, la trama

Morris Bober, negoziante ebreo emigrato dalla Russia, “consuma” la sua vita modesta e retta, “sepolto” nel suo piccolo negozio di alimentari a Brooklyn, con la moglie Ida e la figlia Helen.

Il quartiere è proletario e caratterizzato dalla presenza di stranieri poveri in cerca del sogno americano: Italiani, Polacchi, Ebrei russi, Tedeschi; la piccola bottega serve appena per il sostentamento e rischia di collassare quando arrivano negozi più nuovi e moderni. “Qui è peggio che dappertutto”, sospira Morris, qualche giorno prima di essere rapinato e colpito alla testa. Costretto alla convalescenza, si fa avanti Frank Alpine, ragazzo di origine italiana, misero e sbandato, che si propone come commesso per imparare il mestiere, anche se le ragioni che lo spingono sono, in verità, il senso di colpa e la bella figlia del negoziante Helen. Fra i due nasce un amore, ma il destino di Frank sembra da sempre quello di avvicinarsi “a cose meravigliose”, senza mai “arrivare” a “stringerle in pugno”.

Il negozio, che “succhia il sangue” a Morris e diventa “prigione” per il commesso, è il centro di gravità attorno a cui ruotano e si intrecciano le vicende dei protagonisti e dei comprimari dall’incipit all’epilogo.

La Prosa

Lo stile narrativo di Malamud diventa parte integrante della storia che racconta. La sua prosa è equilibrata e limpida, mai alla ricerca dell’artifizio tecnico che possa distrarre il lettore. Scrive con onestà, mettendo a disposizione e a sostegno della trama la sua capacità narrativa, senza mai eccedere, come se volesse sottrarre la presenza di scrittore a favore del racconto. Dosa la propria abilità nella descrizione dei particolari, nel quale sa eccellere, utilizzandola soltanto quando è finalizzata a far comprendere un personaggio o una situazione.

È la sua prosa che impedisce alla storia di incupirsi, di restare lieve e affascinante per il lettore. Ad esempio, quando parla del susseguirsi delle stagioni nella vita dei personaggi. “Domani è aprile. Come può essere inverno ad Aprile” si chiede Morris. Helen, invece, “si vendicava di dicembre cancellandone i giorni dal calendario”, dolendosi “di quanto tempo ancora” mancasse “alla primavera”, anche se “bastava un soffio d’aria tiepida per rincuorarsi, per essere di nuovo grati alla vita”.

La narrazione chiara, tutt’altro che piana e greve, appare piuttosto simile all’andamento di alcuni testi biblici, semplice e simbolica, o a quello delle favole; in fondo Malamud sosteneva che “grazie alle storie i bambini capiscono che il mistero non li ucciderà. Grazie alle storie scoprono di avere un futuro.

Giobbe e la sofferenza di un popolo

Che valore aveva la sua onestà se non gli permetteva di esistere in questo mondo?” s’interroga Helen, pensando al padre. Morris Bober era “onesto per natura”, “sapeva cos’era il bene”, ma si fidava degli imbroglioni, semplicemente perché non poteva contemplare l’idea di fare del male a un altro. Eppure non solo il destino non lo premia, ma non riesce “a tenersi le cose” per cui fatica; nemmeno a salvare il suo Ephraim, il figlio maschio, morto per una malattia all’orecchio, il cui ricordo incupisce ogni giorno la sua esistenza.

Morris è un giusto come Giobbe, figura biblica al centro di gran parte della letteratura ebraica del Novecento. Egli è l’archetipo dell’innocente ingiustamente colpito, che sopporta un destino o un Dio crudele, rivendicando la propria dignità di essere umano.
Ma un goy (non ebreo in yiddish) come Frank non capisce. Perché un popolo soffre tanto e accetta in modo così mansueto? “Cos’è un ebreo”? chiede mentre pela patate nel retrobottega, spiazzando il negoziante. “Per essere un buon ebreo” “occorre un cuore buono” e seguire la torah.
Perché diavolo gli ebrei soffrono tanto?” incalza.
Dopo un lungo dibattito Morris sentenzia laconicamente: “Chi vive soffre”.

Il Commesso il sogno americano

Al New York Post che chiedeva perché scegliesse sempre personaggi ebrei, Malamud rispondeva “perché li conosco”. Suo padre era un droghiere che abitava a Brooklyn, emigrato dalla Russia. Molti critici hanno considerato Malamud uno scrittore “ebraico” accostandolo spesso a Saul Bellow e Philip Roth, ma egli detestava questa definizione, considerandosi ebreo quanto americano.

In effetti, pur avendo forti legami con la cultura europea dei genitori, egli racconta spesso della difficoltà dei nuovi americani di integrarsi e riscattarsi e del fallimento del sogno americano, tema che lo avvicina a scrittori come John Cheever e Richard Yates.

Morris “aveva sperato molto dall’America e aveva ottenuto ben poco”, tanto da pensare che “era diventata troppo complicata e un uomo non contava più nulla”; non va meglio a Frank, che ha fatto sbagli tutta la vita e per il quale “anche la strada giusta si rivela sbagliata” perché l’esistenza “di un uomo continua sempre come è cominciata”, mentre Helen, che a ventitré anni si sente prematuramente invecchiata “perché ogni giorno” “sembra uguale a quello prima” e “uguale al giorno dopo”, vive nel timore che “la vita non le riuscisse come l’aveva desiderata”.

“Senza istruzione si è perduti”

Malamud ha la possibilità di affrancarsi dal destino dei genitori grazie alla dedizione e alla passione per lo studio. Forse per questo l’istruzione rappresenta nel romanzo uno dei modi per progredire, non solo economicamente, ma anche socialmente. Sono continui i riferimenti all’Università, traguardo e miraggio al quale ambire per migliorare la propria sorte di ultimi: Morris si rammarica di averla fatta smettere a sua figlia e in preda al delirio si promette di garantirla al figlio morto Ephraim.

Senza istruzione si è perduti” sospira amaramente a Frank, che a sua volta per far colpo su Helen, prima le parla dei propri progetti universitari e, in seguito, annullerà se stesso perché lei possa frequentarla.

L’amore attraverso i libri

Il Commesso” è anche il racconto di una grande storia d’amore, intensa e non banale. Un amore lento (“ogni occhiata perduta, per uno che si nutre di sguardi, era una perdita irrimediabile”) , che si alimenta di quotidianità e perciò reale: quello di Helen, che non accetta di scendere a compromessi coi propri sogni, che vorrebbe un uomo con cui condividere le stesse passioni, ma che possa anche garantirle un futuro migliore; quello ostinato di Frank, che, da orfano, cresciuto senza legami e senza principi, lo trasforma in un uomo paziente e capace di sacrificio e abnegazione.

Il legame fra Helen e Frank è scandito dai libri. I loro incontri avvengono in biblioteca, luogo e rifugio prediletto di Helen, in cui sente di non correre “nessun rischio”.

Se lei legge “Don Chisciotte” e “L’Idiota”, Frank predilige le biografie di San Francesco e Napoleone. Scoprirà “Madame Bovary”, “Anna Karenina” e “Delitto e Castigo” su consiglio di Helen, letture a cui all’inizio si costringe solo per amore, per poterla raggiungere e comprendere, ma a cui, in seguito, si appassionerà perché ci troverà “dentro la sua vita”; e quando si accorge che la donna non possa ammettere “un termine al male e un principio di bene” le chiede “ma tu sei sicura di averli capiti?


Il Commesso - Bernard Malamud Copertina 450x600Scheda del libro “Il Commesso”

Titolo: Il commesso

Titolo originale: The Assistant

Autore: Bernard Malamud

Editore: Minimum fax, 2013, 2017

Traduzione dall’inglese: Giancarlo Buzzi

Prima edizione: Stati Uniti, Farrar, Straus and Giroux, 1957

Prima Edizione Italiana: Einaudi,1962

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