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Diario del Novecento di Piergiorgio Bellocchio, la cultura come coscienza sociale

L’analisi di Diario del Novecento di Piergiorgio Bellocchio va accompagnata da una riflessione. Nell’Avvertenza che precede il libro einaudiano Dalla parte del torto (1989), l’autore, dopo le esperienze di critico letterario per “Panorama” e altre riviste di larga diffusione, aveva confessato: “Mai mi ero sentito così solo e inutile come quando avevo un pubblico potenziale di centinaia di migliaia di lettori. Di qui l’esigenza di creare uno strumento di comunicazione libero da ogni condizionamento, indenne dal rumore della chiacchiera culturale, della pubblicità, dei falsi specialismi”.
Quello strumento era la rivista Diario, dalla quale aveva scelto le prose che compongono il libro. A distanza di tanti anni Dalla parte del torto mi sembra uno dei libri più originali e brillanti sulle nostre vicende culturali. Non per caso.

Senza etichette

Piergiorgio Bellocchio è stato uno dei pochissimi intellettuali che è riuscito a conservare intatta l’idea di una cultura come coscienza sociale, non vanesia, non opportunistica, non superficiale, ma antiautoritaria, critica e autocritica, che ha perfino preceduto il Sessantotto e ha attraversato, mantenendo l’integrità della propria intelligenza, i decenni successivi.
Se leggere ogni giorno le pagine culturali dei vincenti sta diventando tremendamente noioso, penso che leggere quelle dei perdenti, ad esempio le annotazioni raccolte in questo volume edito da Il Saggiatore nel 2022, Diario del Novecento, può costituire un’esperienza tutt’altro che nostalgica o vintage. Del resto la parte che l’autore si è scelto, “in mancanza di un altro posto in cui stare”, è un luogo senza etichette, non politicamente (e ormai neanche socialmente) rappresentato, senza contare che lui stesso ritorna sulle proprie opinioni, ad esempio su Pasolini, modificando qualcosa dei suoi pensieri precedenti, perché non cerca il consenso ma il confronto, l’approfondimento. E non è necessario condividere le sue opinioni. Anzi, si aspetta che il lettore prosegua in proprio i suoi ragionamenti. Un tempo si chiamava ‘critica militante’, ma l’etimologia non è adeguata, in questo caso, perché qui nessuno milita, anzi, in merito alla rivista Diario Bellocchio dice semplicemente: “esce quando ha qualcosa da dire, e non deve niente a nessuno”.

L’autore

Piergiorgio Bellocchio (Piacenza, 1931-2022), critico letterario, giornalista e scrittore, ha diretto insieme a Grazia Cherchi i celebri “Quaderni piacentini” (1962-1984) e insieme ad Alfonso Berardinelli la rivista “Diario” (1985-1993). Oltre al volume citato in apertura ha pubblicato Eventualmente (Rizzoli 1993), L’astuzia delle passioni. 1962-1983 (Rizzoli 1995), Oggetti smarriti (Baldini & Castoldi 1996), Al di sotto della mischia. Satire e saggi (Scheiwiller 2007), Un seme di umanità. Note di letteratura (Quodlibet 2020) e il recente Diario del Novecento (Il Saggiatore 2022, a cura di Gianni D’Amo). Il reprint integrale della rivista Diario è stato pubblicato da Quodlibet di Macerata nel 2010. Come si può notare, Bellocchio non amava particolarmente la forma-libro per i suoi interventi, infatti le sue pubblicazioni sono sostanzialmente delle raccolte tratte dalle collaborazioni giornalistiche precedenti e grosso modo escono dopo i suoi sessant’anni.

Diario del Novecento

“Più che dall’invenzione sono sempre stato attratto dalle testimonianze personali e dirette, dal giornalismo di reportage e dall’autobiografia” scriveva Bellocchio nella quarta di copertina di Un seme di umanità. Affermazione che sembra quasi scusarsi per un libro che invece affronta alcuni tra i capolavori degli autori che ha amato: Casanova, Stendhal, Flaubert, Dickens, i narratori russi dell’Ottocento, Herzen, Hašek, Edmund Wilson (che è stato il suo primo modello e maestro), Orwell, Böll, Bianciardi, Proust, ma anche Kubrick e altri.
Le sue osservazioni assumono spesso una forma didascalica ma lo stile non deve ingannare perché in realtà esprimono sempre un punto di vista non consueto, e collegano costantemente l’autore e il libro alla società del suo tempo.
Tuttavia, neanche si può incasellare il lavoro di Bellocchio nel genere della critica letteraria sociologica, perché la sua scrittura è – in modo implicito o esplicito – un diario di lettura, dove il lettore comunica a sé stesso e agli altri le sue impressioni, le sue analisi, e dunque non finge di essere obiettivo, ma è impegnato in un corpo a corpo con il testo (e il contesto). Anche quando il testo non lo merita, e allora le sue satire sono davvero affilate, la sua ironia divertita e amara nello stesso tempo.

Insomma, la forma diario gli è congeniale. Pertanto non stupisce l’aspetto che ha assunto questo libro: una selezione ragionata dei suoi 208 quaderni e taccuini, dal 1980 al 2022, discussa insieme a Gianni D’Amo e poi proseguita da quest’ultimo dopo la scomparsa dell’autore. Un diario improntato ai Journeaux intimes di Baudelaire. Poi lui stesso, a circa metà del libro, lo descrive: “Questo ‘zibaldone’, che tengo con discreta continuità ormai da una decina d’anni, è lontanissimo dai modelli canonici dei diari (a loro volta tra loro assai diversi: Amiel, Goncourt, Gide, Renard, Léautaud…). Non è né un diario privato né un diario in pubblico. In parte è un ‘diario di lavoro’ alla Brecht (l’officina di tantissimi scrittori, da Leopardi a Čechov a Kafka). Ma la sua caratteristica più spiccata mi sembra quella di contro-giornale. Molta parte di tempo me la prende il lavoro di forbici e colla: notizie, frammenti, pubblicità, foto, vignette, illustrazioni varie tratte dalla stampa quotidiana, scelte ai fini i più diversi (con animo di approvazione, consenso; per lo più di disapprovazione, polemica; spesso per mero scrupolo di documentazione, curiosità). Mi sembra che ci sia, da parte mia, una specie di volontà di farmi un mio giornale… Il suo titolo più appropriato sarebbe Mon Journal, nel doppio senso di diario (alla francese) e quotidiano artigianale a mio uso e consumo. E poi la vocazione al riciclaggio: un giornale fatto per lo più con altri giornali. Il mio giornale, ma anche il mio libro…”

Diario del Novecento di Piergiorgio Bellocchio non è solo un ‘taglia e incolla’ di frammenti e reperti, come con modestia lui spiega, ma una raccolta eterogenea di osservazioni acutissime e sconsolate – alcune molto divertenti – che colgono il passaggio da una cultura che si sentiva al centro di una coscienza collettiva a una cultura che aspira a diventare semplicemente un buon prodotto (nel migliore dei casi): fatto bene o fatto male, l’orizzonte culturale è solo quello. C’è chi vorrebbe conciliare questi due aspetti, ma forse è troppo tardi.


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Scheda libro

Titolo: Diario del Novecento

Autore: Piergiorgio Bellocchio

Editore: Il Saggiatore

Anno: 2022

Pagine: 616

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