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Il cacciatore di aquiloni. Il precario equilibrio della colpa e del perdono

Il cacciatore di aquiloni è il romanzo d’esordio dello scrittore statunitense di origine afghana Khaled Hosseini, pubblicato nel 2004 da Edizioni Piemme, per la traduzione di Isabella Vaj, rivelandosi sin da subito un singolare caso editoriale, tradotto in circa trenta lingue.
Definito dalla critica italiana “il miracolo del passaparola“, Il cacciatore di aquiloni ha venduto nel nostro Paese circa due milioni di copie.

Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto.

Il cacciatore di aquiloni: la trama

Amir e Hassan sono due ragazzini di Kabul. Amir vive in una bella villa, con il padre Baba, (avendo perso la madre, morta mettendolo al mondo), il servitore Alì e il figlio di quest’ultimo, Hassan.
I due sono legati da una bellissima amicizia, nutrono un grande affetto l’uno nei confronti dell’altro, anche se Amir, a volte, soffre per le troppe attenzioni che Baba riserva ad Hassan.
Non è solo l’amicizia a unire i ragazzi: entrambi coltivano da tempo un grande sogno, che è quello di vincere la gara di aquiloni che si svolge nella loro città.
L’agognato desiderio finalmente si realizza e Baba, per la prima volta, si mostra fiero di suo figlio.

Subito dopo la competizione, Hassan desidera recuperare l’aquilone di Amir e mentre corre per riprenderlo, incontra tre prepotenti, già noti per le cattiverie perpetrate in passato nei suoi confronti.
I tre lo bloccano, lo picchiano e abusano di lui: Amir, che nel frattempo ha raggiunto il posto, assiste alla scena nascosto dietro a un muretto, senza fare nulla per aiutare l’amico.
Non ha il coraggio di intervenire e da quel momento, il senso di colpa lo divorerà giorno dopo giorno.
In seguito al terribile episodio, il rapporto tra Amir e Hassan cambia, diventa più freddo, fino a quando, con lo scoppio della guerra in Afghanistan, Baba decide di trasferirsi con suo figlio negli Stati Uniti, dove il ragazzo si innamora di Soraya.

Amir diventa uno scrittore di successo, ma non si sente appagato, perché lui e Soraya non riescono ad avere figli. Un giorno, Rahim, un amico di suo padre, gli telefona per dirgli che qualora volesse, potrebbe finalmente fare qualcosa per Hassan. L’uomo sente che è l’occasione giusta per aiutare l’amico e per liberarsi del peso che da anni ha sul cuore. Così, torna in Afghanistan ventisei anni dopo la sua partenza.

I perni della narrazione

L’amicizia, il senso di colpa, l’urgenza di riscatto e la brutalità umana sono i più importanti punti cardine intorno ai quali si snoda la trama di questo Il cacciatore di aquiloni, in cui le vite oltraggiate, l’infanzia violata e la crudeltà della guerra si mescolano al turbamento provocato dal senso di colpa, una bestia indomabile e fagocitante.

Il cacciatore di aquiloni è una storia fatta di tante storie che raccontano il rapporto tra padre e figlio e di come le azioni dei genitori ricadano inevitabilmente sulla prole; sono fatti che narrano del tempo, del perdono e del riscatto, trascinando il lettore nelle vicende storiche afghane, nella cultura e nelle tradizioni di un Paese affascinante tanto quanto martoriato. Hosseini fa una lucida ricostruzione dell’Afghanistan devastata dalla guerra e tormentata nell’intimo e nell’anima.

Il cacciatore di aquiloni: il racconto

Ne Il Cacciatore di aquiloni l’uso del flashback e dei flashforward a introduzione di avvenimenti che devono ancora verificarsi – nel caso specifico, tendenzialmente negativi – movimentano, ulteriormente, il racconto in prima persona, già di per sé ben scritto. La penna di Hosseini è leggera nel tratteggiare avvenimenti di notevole drammaticità, in una narrazione dal lessico informale e al contempo altamente evocativo e dallo stile che crea una sinuosa cornice intorno a una storia molto toccante.
I dialoghi sono ben strutturati, le descrizioni dei luoghi dettagliate e mai prolisse; la fisicità dei personaggi è attentamente delineata, a dispetto di una caratterizzazione psicologica pressoché inesistente.
Lo scrittore crea un interessante connubio di circostanze ed elementi, che fanno palesemente intendere quanto il popolo afghano sia particolarmente condizionato dalla guerra che ha subito.

Le etnie

Amir è un ragazzo di etnia pashtun – sunnita – mentre Hassan appartiene agli hazāra – sciita – a identificazione di una popolazione etnicamente stratificata a causa delle vicissitudini storiche che si sono susseguite nel corso del tempo. Amir è un privilegiato, Hassan un perseguitato, perché, a un certo punto, l’uomo ha deciso che l’appartenenza dovesse costruire muri.

Attraverso la figura di Amir, l’autore rappresenta i pashtun afghani, un gruppo etnico-linguistico indoeuropeo appartenente prevalentemente all’Afghanistan orientale e meridionale e al Pakistan occidentale, nella regione del Pashtunistan. È il più grande gruppo etnico del Paese, di etnia iraniana, parlano il Pashto e seguono l’Islam sunnita; sono divisi in tribù che si distinguono tra loro per le peculiarità storiche e culturali che le caratterizzano.
È variegato il percorso dei pashtun, contraddistinto dalle tante vicissitudini sociopolitiche che si sono implementate nel corso dei secoli, durante i quali non hanno mai conosciuto una reale unità. L’etnia è nota per le azioni guerrigliere dei talebani; oggi, i pashtun svolgono un’opera molto importante finalizzata alla ricostruzione dell’Afghanistan, essendo ancora la più grande etnia e la più importante comunità in Pakistan.

Hassan viene deriso e picchiato perché figlio degli hazāra, che vivono prevalentemente in una regione montuosa dell’Afghanistan centrale, meglio conosciuta come Hazarajat o Hazaristan. Costituiscono una minoranza sciita, con la quale, sin dal 1994, anno della conquista del potere, i talebani sono entrati in conflitto.
La loro storia è segnata dalle continue persecuzioni ed è a causa delle stesse, che oggi gli hazāra sono uno scarno 10% della popolazione afghana. Discriminato per motivi religiosi e fisici (la forma leggermente allungata dei loro occhi è considerata malefica dai talebani), il popolo ha conosciuto diversi e ripetuti genocidi.

Scoprii che la mia gente, i pashtun, li aveva perseguitati e oppressi. Da secoli, periodicamente, gli hazāra cercavano di ribellarsi, ma i pashtun “li reprimevano con inaudita violenza”. Il libro diceva che la mia gente li aveva uccisi, torturati, aveva bruciato le loro case e venduto le loro donne.
E una delle ragioni era che loro erano sciiti e noi sunniti. Il libro diceva cose che nessuno mi aveva mai detto. Ma anche cose che io sapevo benissimo, per esempio che gli hazāra erano chiamati nasipiatti, mangiaratti, asini da soma.

Il contrasto e l’identità

Il contrasto rappresenta un altro importante elemento che corre velatamente tra i righi de Il cacciatore di aquiloni, che si immedesima sin da subito nel difficile rapporto tra Amir e Baba e nei suoi slanci verso Hassan, incomprensibili agli occhi del figlio.
Amir si ritiene, in tutto, superiore ad Hassan: in fondo è ricco, vive in una bellissima casa e appartiene all’etnia più potente.
Eppure, sembra che la preferenza di suo padre, proprio lui, il suo Baba, ricada sull’amico. Per quale motivo? Una dolorosa identità quella di Amir, costruita sul possesso, sul morboso senso di appartenenza e sul principio dell’assoluto.

In realtà, il giovane vive un’ostilità unilaterale: Hassan non avverte la sgradevole sensazione che prova il suo compagno, con cui ama condividere ogni cosa. Sin dalle prime pagine del romanzo, quindi, si palesa la latente conflittualità interiore del protagonista pashtun, che egli inconsapevolmente edifica, giorno dopo giorno, nutrendola con il senso di colpa e con una individualità costruita sull’oggettivismo, generando il conflitto di due mondi a confronto: quello esteriore e quello interiore.

Amir sembra quasi assumere delle fattezze illusorie, fatte da due volti e due anime che si guerreggiano in una lotta spietata, ma senza colpo ferire, perché, in fondo, non si deve azzardare mai.
Rimanere nel dubbio e nella domanda fa male, ma protegge, creando quella zona di comfort utile per celarsi al mondo. L’intima ostilità del protagonista è l’immagine speculare di quel ginepraio di azioni e di vicende colpevoli di aver soggiogato l’Afghanistan.

Il cacciatore di aquiloni e le contrarietà americane

Nel 1979, dopo il colpo di stato militare, si delinea, in Afghanistan, un governo dal profilo socialista che ottiene il supporto militare dell’Unione Sovietica, con la finalità di contrastare l’opposizione armata supportata dai leader islamici. Ha così inizio l’invasione russa, motivo per cui molti abitanti lasciano il Paese, proprio come Baba e Amir.
Quando i due approdano negli Stati Uniti, sorge l’urgenza di mantenere la propria identità afghana, in un posto che è poco consono alla figura di Baba e molto più vicino a quella di Amir, che sembra ritrovare la propria dimensione. Si verifica così l’esatto contrario di quanto accadeva in terra natia: Baba, in America non è nessuno, non conta nulla, mentre Amir si ricostruisce passo dopo passo: il giovane risorge, il vecchio soccombe.
Diventa tutto il contrario di tutto ed è in questa particolare condizione, che si ritrovano Amir e suo padre e che i tasselli del loro rapporto rientrano al proprio posto nel complicato puzzle della vita.

Tuo padre, come te, era un’anima tormentata aveva scritto Rahim Khan. Forse. Entrambi avevamo peccato e tradito. Ma Baba era riuscito a trasformare il proprio rimorso in bene per gli altri. Che cosa avevo fatto io, se non cercare di dimenticare dopo aver riversato la mia colpa proprio su coloro che avevo tradito?

Il ritorno a Kabul

Il racconto de Il cacciatore di aquiloni procede con il viaggio di ritorno a Kabul di Amir, viaggio che non è solo fisico, ma è anche un percorso dell’anima; il protagonista, ormai uomo, è alla ricerca della redenzione, desidera fortemente liberarsi dei fantasmi del passato e dei suoi sensi di colpa. Trova un’Afghanistan cambiata sotto il potere soffocante dei talebani, una terra devastata, che nonostante questo, gli offre una possibilità di riscatto, strappandolo dal conflitto interiore e permettendogli di ritrovare la perduta identità.

Il film

Il cacciatore di aquiloni conosce la trasposizione cinematografica nel 2007, in un film per il grande schermo, prodotto dalla Dreamworks Pictures e dalla Paramount Classics, per la regia di Marc Forster.
La pellicola è realizzata consapevolmente e il risultato può definirsi più che soddisfacente, anche se Forster non riesce, nonostante l’impegno, a restituire agli spettatori le stesse emozioni del libro. Indubbiamente, le vicende rispecchiano fedelmente quelle del testo, ma è come se il regista fosse riuscito a estrapolare benissimo i fatti, riproducendoli nel migliore dei modi, lasciando indietro le vive sensazioni.

Il cacciatore di aquiloni, un libro necessario

Il cacciatore di aquiloni è un libro potente e necessario, che sviscera in maniera cruda il rapporto imprescindibile tra la storia dell’uomo e quella del suo Paese, che è capace di evidenziare quanto sia rilevante per l’evoluzione intima dell’individuo il rapporto con la sua terra.
Hosseini non si risparmia nel raccontare la storia dell’Afghanistan, che ha lasciato quando era poco più che ragazzo, portando con sé la sofferenza di ogni immigrato e la consapevolezza che non avrebbe più vissuto nella sua terra.

In qualche modo, proprio come Amir, l’autore si riscatta, scrivendo di quella realtà che mai trova pace, perché il mondo deve sapere, con la speranza che un giorno smetta di girarsi dall’altra parte.


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Scheda libro


Titolo:
Il cacciatore di aquiloni

Autore:
Kaled Hosseini

Traduttore:
Isabella Vaj

Casa Editrice:
Piemme

Prima edizione:
2004

Ultima edizione:
2016

Pubblicato in Narrativa.

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