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La bolla di componenda. Camilleri tra documentazione e fantasia narrativa

La bolla di Componenda di Andrea Camilleri esce per la prima edizione nel 1993 in Quaderni della Biblioteca siciliana di storia e letteratura e successivamente nella collana blu La memoria di Sellerio (1997).

La bolla di Componenda: il titolo

Il primo termine del titolo è bolla, un atto dei luoghi santi venduto dai frati, “un quarto del foglio, ridotto a pezzetti minuscoli e lasciato portar via dal vento (…) faceva di colpo abbacare gli elementi scatenati e pronto sorgere l’arcobaleno” (p. 40) che salvaguardava dai pericoli e dalle calamità.

Il secondo termine è componenda, che dal risvolto di copertina leggiamo essere un “accordo, compromesso, transazione intesa a sanare un contenzioso tra parti. Fa pensare all’accordo tra due privati o, quando non privati, a pattuizioni di poteri occulti, torbidi, segreti”.

Camilleri negli archivi, si imbatte “nella più simbolica e incredibile fra tutte. Quella che il potere ecclesiastico garantiva a chi, pagando un obolo più o meno grande secondo il reato, acquisiva diritto preventivo all‘assoluzione“.

Compromesso, transazione e accordo fra amici

Il documento è riportato negli atti di un’inchiesta parlamentare del 1875 sulla Sicilia e assicurava l’indulgenza e anche l’impunità per tutti quei reati che il contraente avrebbe compiuto nell’anno solare successivo.
Questo ci fa comprendere quanto fosse diffusa, nell’Italia postunitaria, una forma di illegalità che implicava Chiesa, Stato e mafia, (“una componenda” sarebbe stato l’assassinio del bandito Giuliano, pp. 25-30).

In Sicilia, la Chiesa ha diffuso credenze e pratiche che hanno creato un terreno fertile per la diffusione e consolidamento dell’habitus mafioso.
Una legalità “altra”, basata sull’intimidazione e sulla trattativa è stata avallata spesse volte dal clero che dal popolo ignorante ha sempre preteso un atteggiamento acritico e credulone.

Nel capitolo IV de La bolla di Componenda Camilleri riporta la voce Componenda del Dizionario storico della mafia di Gino Pellotta (1977) che recita così: “Forma di compromesso, transazione, accordo fra amici.
Veniva stipulata tra il capitano della polizia a cavallo e i malviventi o i loro complici in una data età storica della Sicilia. Grazie alla componenda, il danneggiato poteva rientrare in possesso di una parte di ciò che gli era stato sottratto; in cambio ritirava ogni denuncia.
Tutto veniva dimenticato, magari in cambio di cortesie formali, di dichiarazioni di rispetto. In tal modo l’ufficiale di polizia sistemava le cose, creando una prassi, una forma di giustizia al di fuori delle leggi ufficiali. Si formava, anche per questa via, una legge, una legalità diversa, e anche questi elementi, seppure marginali, tornano nel discorso generale di ciò che può essere la mentalità mafiosa. E d’altronde chi può sostenere che sia del tutto scomparsa? Piuttosto è da pensare che al posto dell’ufficiale di polizia possa intervenire la mafia, in un ruolo di mediazione, di giustizia mafiosa. In tal caso, il padrino, oppure il boss, decide: si restituisca in parte o si restituisca tutto” (p. 33).

La bolla di Componenda e il primo Camilleri

La bolla di Componenda è stato scritto agli inizi della carriera di Camilleri narratore, in una fase di sperimentazione di generi e stili diversi tra loro.
Scritto in un italiano chiaro e fluido che non nuoce alla intellegibilità delle sezioni saggistiche (vista la centralità, nel testo, della documentazione), sono presenti anche vocaboli dialettali (come, per esempio, firriare, tambasiare, infaccialate, assammarato, ammuccare, testiando) che troveremo nella produzione successiva dello scrittore e che hanno contribuito alla sua straordinaria popolarità.

«Questa bolla di componenda si vende da speciali incaricati, che ordinariamente sono i parrochi, al prezzo di lire una e tredici; e mediante essa uno è autorizzato a ritenere con tranquilla coscienza fino a lire trentadue e ottanta di roba o denaro rubato» (p. 85)
Il libro si compone di diciotto racconti ambientati nel periodo immediatamente successivo all’unità d’Italia in cui si alterna la documentazione d’archivio con la fantasia narrativa.
Muovendosi «a coda di porco», la linea di pensiero dello scrittore “gira in tondo, rischia continuamente d’intorciuniarsi su se stessa” (p. 31), si sposta nel tempo in avanti per poi tornare indietro, racconta fatti realmente accaduti o si appoggia su simpatiche invenzioni narrative.

“Non spezzi un equilbrio”

Si parte con Giorgio Vecchietti (Cap. I) che racconta a Camilleri un episodio successogli quando dirigeva il telegiornale della seconda rete “Il mio proposito era di fare un giornale più mosso e vivo rispetto a quello della prima rete […].
Cominciai col togliere di mezzo quei servizi che mi parevano minori e […] abolii, per esempio, quelli che si riferivano al «taglio del nastro» oppure alla «posa della prima pietra” […] un altro tipo di servizio che abolii era quello che si poteva intitolare “Brillante operazione della guardia di Finanza” (pp. 13-14).

Una sera, mentre si dirigeva a piedi verso casa nei pressi de Pantheon, venne avvicinato da un tale, a lui sconosciuto, che volle accompagnarlo a casa.
Questi gli fece notare che “l’ordine di non effettuare né trasmettere servizi dedicati all’eliminazione del contrabbando di sigarette” avrebbe leso molti interessi.
C’erano accordi ben precisi che comprendevano dalla Guardia di Finanza ai giornalisti (che per fare il servizio in diretta salivano a bordo di una motovedetta), dai contrabbandieri agli stessi produttori di sigarette.
Ma qual era il meccanismo? “Per merito della cosiddetta brillante operazione, le guardie impegnate ricevono elogi, encomi e promozioni.
Soddisfatti, riposano un poco sugli allori, quel tanto che basta perché il contrabbando possa, in quella zona, continuare indisturbato” (p. 16) mentre il produttore di sigarette usufruiva di un gratuito carosello pubblicitario, poiché la marca delle sigarette sequestrate veniva inquadrata nel servizio.
Il colloquio terminò con una stretta di mano accompagnata dalle parole “non spezzi un equilibrio, non rompa una componenda faticosamente raggiunta” (p. 17).

La bolla di Componenda e le piccole deliziose storie di costume

La bolla di Componenda è arricchito da deliziose microstorie di costume in cui l’autore ci riporta differenti “componende”.
Citiamo quella (dopo l’unità d’Italia) tra l’esercito piemontese e il brigante Crocco durante la lotta contro il brigantaggio, o (nel primo dopoguerra) tra gli uomini della banda Giuliano e i trasportatori dell’isola o ancora quella che ha visto coinvolta la sua famiglia, quando il camion di suo padre che trasportava pesce, venne fermato dagli uomini della banda Giuliano.
Dopo una veloce trattativa e qualche bicchiere di vino, l’autista fidato don Vincenzino Chiapparà, spiegò al giovane e impaurito Andrea: “Io gli do il pesce e loro m’assicurano che per tutti i viaggi che faccio ho strada sicura, nessuno s’azzarda a farmi torto” (p. 28).

Camilleri, con grande leggerezza, passa da serie considerazioni sul brigantaggio che fu dichiarato banditismo quando invece era stato il prodotto delle rivolte contadine a simpatici ricordi legati alla sua famiglia raccontando di una bullailochisanti, “un foglio di carta a stampa, un rettangolo di quarantacinque centimetri per trenta” (p.34), ampiamente illustrato con scorci dei luoghi santi, trovata in una cassetta della madre.
Questa bolla era venduta dai frati minori ogni venerdì non come assegnazione d’indulgenza (la cui vendita aveva subito dopo il Concilio di Trento forti restrizioni), ma come segno di appartenenza alla “Santa Figliolanza”; i fedeli partecipando così di ‘tutti i benefici spirituali sopraccennati (messe gratuite e indulgenze) si fanno degni di ottenere da Dio il perdono dei loro peccati in questa vita e il premio dell’eterna gloria nell’altra’ ” (p. 39).

La bolla era una sorta di amuleto che, qualora il richiedente si trovasse in perfetto stato di grazia, gli assicurava anche la preservazione dai flagelli della divina Giustizia. A questo punto Camilleri si chiede: “come mai allora i frati continuavano a vendere, diciamo legalmente, la bolla? C’era, e me ne accorsi dopo, un sottile marchingegno. Vale a dire: i frati non vendevano direttamente l’indulgenza né istituivano un parallelo tra essa e l’offerta ma si limitavano a vendere la tessera di socio di una “figliolanza” che, a sua volta, godeva dell’indulgenza. Ogni rapporto diretto era così eliminato, non c’era causa, non c’era effetto” (pp. 38-39).

La bolla di Componenda e la questione sociale

Nel capitolo XIV de La bolla di componenda Camilleri ricorda la lettera intitolata La questione sociale-Elemento religioso di Giuseppe Stocchi che inseriva la bolla di componenda nelle cause della corruzione dei siciliani, la cui natura era “intrinsecamente non religiosa, ma superstiziosa. Tale disposizione naturale è poi fomentata dall’interesse; prima perché in quella specie di fatalismo, che è inseparabile da qualunque religione positiva, egli trova una scusa e quasi una sua giustificazione alla sua ritrosia al lavoro e al darsi attorno; poi perché le turpi condiscendenze e larghezze di un sacerdozio ignorante, corrotto e insaziabile, gli addormentano la voce e i rimorsi della coscienza, prodigandogli assoluzioni e benedizioni per qualunque colpa o delitto, e lo incoraggiano ai vizi e ai misfatti a cui è tanto proclive.
Qui è la prima radice di ogni male. I facinorosi più famigerati cominciano sempre col furto e con la componenda. Ora il furto e la componenda sono non solo tollerati e perdonati, ma autorizzati e incoraggiati dal cattolicismo come lo intende e lo pratica il sacerdozio e il laicato siciliano.
E difatti sapete voi di dove viene il nome stesso di componenda? Viene dalla bolla di componenda (tale è il suo titolo ufficiale e popolare insieme) che ogni anno si pubblica e si diffonde larghissimamente per espresso mandato dei vescovi, in tutte le borgate e le città della Sicilia” (pp. 84-85).

Il prezzo della bolla di componenda: una tassa e un furto

Si passa poi a indicare il prezzo (1,13 lire) di ciascuna bolla e il valore corrispondente (32,80 lire) della refurtiva e il tetto massimo di roba o denaro rubati, “tarì tremilaottoocentosessanta (1640,50). Superata questa cifra, il ladro deve andare, o mandare, direttamente dal vescovo, e allora la componenda si fa a quattr’occhi e per stralcio” (p.85)

Che cosa è il prezzo della bolla di componenda? “Al tempo stesso che una tassa in favore del clero sul delitto, è una partecipazione al furto e un furto esso stesso.
E il volgo, sottilissimo ragionatore e logico impareggiabile, nei suoi interessi e nei suoi vizi, ne conclude (e sfido se può essere diversamente) che se partecipa ai furti e ruba il prete, a più forte ragione può rubare lui, e che perciò il rubare non è peccato.
E quando il siciliano ignorante si è persuaso che una cosa non è peccato, di tutto il resto non teme e non si cura, soccorrendogli mille mezzi e infinite vie a non cadere o a sfuggire alle sanzioni della giustizia umana.
Gli basta essere certo (stolta ma esiziale certezza) che non andrà all’inferno; e da questa unica paura lo guarentisce l’esempio e l’assoluzione del prete. E la bolla di componenda che cosa è essa? È, né più né meno, un ricatto” (p. 87).

Un devastante pactum sceleris ed il rapporto con la contemporaneità

Nella conclusione de La bolla di componenda Camilleri ribadisce che: “Non c’è modo alcuno di nobilitare (mi si passi il verbo) la bolla paragonandola a una qualsiasi bolla d’indulgenza, anche la più degenerata.
La bolla di componenda è un puro e semplice, ma torno a ripetere devastante, pactum sceleris: solo che uno dei contraenti è la più alta autorità spirituale, la Chiesa, qui certamente non mater ma cattiva magistra” (p. 97).

Nelle pagine finali, leggiamo il richiamo ai problemi che affliggono la società contemporanea, i famosi anni di piombo, e “della bolla di componenda mi assale una sottile nostalgia” (p.107) e se questa, scrive Camilleri, fosse stata applicata negli anni sopracitati, “ci avrebbe risparmiato, non la scia di sangue certamente, ma la tarantella dei pentimenti, delle dissociazioni, della crisi di coscienza, dei rimorsi, dei distinguo, dei cristiani perdoni.
Tutti, assassini o no, innocenti o colpevoli, avremmo goduto di tranquilla coscienza” (p.108).

Certamente, Camilleri non ha potuto, per una questione temporale (ci troviamo tra la prima e la seconda repubblica), citare la componenda tra stato e mafia, che ha segnato la nostra storia e tanti altri non nobili compromessi.
In un colloquio con Leonardo Sciascia (che conosceva solo la componenda laica), Camilleri gli confessò che avrebbe voluto scrivere qualcosa sulla bolla e che per dare maggiore credito al suo lavoro, sarebbe stato necessario trovare una bolla originale. Sciascia, seraficamente gli rispose: “Tu una carta così non la troverai mai. E infatti non l’ho trovata” (p.108).


SCHEDA LIBRO: LA BOLLA DI COMPONENDA

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Titolo:La bolla di componenda

Autore: Andrea Camilleri

Editore: Sellerio

Prima edizione: 1993

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