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“Appunti Partigiani” di Beppe Fenoglio, l’onestà e l’epica

Molti anni fa, mentre leggevo “Il Partigiano Johnny”, il mio primo libro di Beppe Fenoglio, mi capitava spesso di portarmi nei sogni le atmosfere del libro: fughe, precarietà, solitudine e smarrimento; ma insieme a queste emozioni distorcenti, altre due emergevano su tutte ed erano la spinta alla vita e la consapevolezza di mettere a rischio la propria esistenza per una causa giusta.

Forse, a poco meno di trent’anni, con un lavoro ancora precario e una figlia di pochi mesi, rielaboravo e trasponevo nel destino del protagonista, che portavo nei sogni, molti dei sentimenti che affrontavamo alla luce del giorno, io e i miei coetanei di allora. O forse, era semplicemente la manifestazione del mio marcato entusiasmo, atavico, verso la lotta per i valori della libertà e dell’illuminismo, che, da sempre, nella nostra storia nazionale identifico con la Resistenza.
Sono queste le due caratteristiche di tutte le opere di Beppe Fenoglio: l’onestà e l’epica.

Beppe Fenoglio, partigiano e scrittore

Il suo racconto è asciutto, duro, come la sua lingua; non assume mai toni celebrativi e trionfalistici; mai reticente per timore di illuminare l’ambiguità di certi fatti o per correggere la storia a favore di una univocità di lettura, consapevole che la guerra in generale, ma soprattutto una guerra civile, non sarà mai una “guerra onesta”.
Anche per questo la sua testimonianza assume un valore storico altissimo, tant’è che personalmente è stato leggendo Fenoglio che ho imparato ad avere un’idea più ampia e chiara e a disconoscere certi luoghi comuni su questa guerra, che di volta in volta, hanno fatto comodo ora a una, ora all’altra parte.
Ma Fenoglio è “partigiano e scrittore”, per sua stessa ammissione, e i suoi racconti non sono semplici trasposizioni di fatti. È in questo senso che la sua opera si fa epica, perché i protagonisti, Johnny, Milton o semplicemente Beppe, pur svestendosi dell’abito di vigogna e impugnando lo Sten, diventano personaggi universali che travalicano la pagina e il periodo storico, incarnando pensieri, contraddizioni e pulsioni che sono di tutti gli uomini. È il filtro della letteratura che li rende eterni e attuali come certi personaggi di Shakespeare, che Fenoglio amava.

Gli “Appunti Partigiani” il nucleo più antico

Se Beppe Fenoglio scrisse e riscrisse per tutta la sua breve vita lo stesso libro, come sostiene Ernesto Ferrero, gli “Appunti Partigiani” (Einaudi) sono il nucleo più antico di questa storia, una sorta di embrione, da cui si svilupperanno e prolifereranno i suoi racconti più famosi; ma sarebbe riduttivo leggerli soltanto per orientarsi nella produzione successiva: essi vanno considerati opera indipendente, in cui già trova forma la singolare voce narrativa dell’autore.
Il libro gode della freschezza di una prosa scarna e innovativa, non ancora rivoluzionaria (e tipicamente fenogliana, si dirà) come quella de “Il partigiano Johnny”, e nello stesso tempo morbida, nitida, capace di descrivere in poche righe la durezza di una decisione “tòrnaci. Se te la senti, tòrnaci” e la dolcezza di un legame “ogni volta che passeranno con camion e mitraglie e cani per quelle colline dove tu sarai, io mi sentirò morire”, le parole della madre a Beppe, nell’incipit; e riesce a riprodurre una purezza di immagini quasi fotografica “Olga ha appoggiato la testa dietro la schiena del Comandante e guarda il fuocherello della sigaretta e chiede se sarà un rumore forte” la fucilazione, cogliendo l’immagine con un’immediatezza privata di malinconia e giudizio, come sarà in “Una questione privata”.

I taccuini ritrovati

Il destino di questo testo è affascinante e a suo modo una storia di “resistenza”. Scritto su carta intestata “Macelleria Amilcare Fenoglio”, dove il padre segnava i conti dei clienti, in libretti maneggevoli, di una misura da poter stare nelle tasche dei calzoni, magari accanto a quella “pistola”, “che può tornare sempre buona” soprattutto quando “si intampano le armi e le munizioni” per sbandarsi: sarebbe affascinante pensare a degli appunti redatti a caldo; in realtà alcune lettere e scritti in mezzo a quelle pagine fanno datare i testi alla primavera del 1946.
Ma la storia più singolare riguarda il loro ritrovamento.

Dopo la morte dello scrittore, casa sua viene concessa in comodato d’uso ad un’associazione che si occupa di disabili; in cambio il proprietario chiede di ritinteggiarla e di sgomberarne i locali. In quell’occasione vengono gettati via tutti gli scritti di Fenoglio dentro sacchi, abbandonati sotto un ponte lungo il fiume Tanaro. Una domenica del ‘66 Giancarlo Molino, mentre va a pescare nota proprio quei sacchi, li calcia e ne escono alcuni fogli e quaderni. Prende, incuriosito, alcuni libretti e li mette nel tascapane. Restano in soffitta finché nel ’93, per l’anniversario della morte di Fenoglio, decide di sottoporli a un giudizio critico e quei sette taccuini e alcuni quaderni della sorella Marisa vengono riconosciuti come manoscritti di Beppe Fenoglio, questi “Appunti Partigiani”. L’opera avrebbe dovuto coprire uno spazio di tempo che va dal Novembre del ‘44 alla primavera del ‘45, ma si fermano invece a “quindici giorni dall’Immacolata” con l’ennesimo incompiuto che la parola tronca “ca-“ sancisce.

La musica di Beppe Fenoglio

Mi piace immaginarmi Fenoglio con una musica di sottofondo sempre in testa, anche in silenzio, un motivo con cui tener il tempo delle azioni nella vita e delle parole sulla pagina; le sue melodie, lo swing e il jazz, riecheggiano fra le righe dei suoi romanzi: Milton e Fulvia accompagnati dalla struggente, nostalgica e dolcissima “Over the rainbow”, suonata per ventotto volte; Johnny che riconosce ai Garibaldini una canzone che fa tremare i polsi e Beppe, che canticchia “Polvere di Stelle”, che poi non è che la trasposizione di “Stardust”, mentre passeggia nella piazza di Santo Stefano; quando Anna Maria gli “toglie il motivo di bocca” pare che gli rubi un bacio e non un motivetto, continuando poi lei “le variazioni alla Natalino Otto”.

Beppe canta anche per accompagnare i latrati dei cani e far così la sua “parte in” quel “concerto” notturno, mentre ritorna in collina e tamburella “il calcio della pistola”; una scansione musicale anche nella prosa, con quel “dice”, “dico”, “dice” ripetuto a ogni battuta di un interlocutore diverso, che incalza il tempo e la situazione. E se Beppe e i suoi amici restano sul pendio “per non perdere una nota” di quella “musica”, le cannonate tedesche, e durante la fuga sente “mitraglie e sputafuochi, mitra e volgari schioppi che fanno il jazz”, la mia immaginazione non è così lontana dal vero.

Langhe tempestose

Il romanzo è generoso di episodi e personaggi, nonostante la brevità. Ad alcuni toccherà una sorte importante e diventeranno protagonisti di alcuni racconti successivi, altri esauriranno fra queste pagine la loro esistenza. Ad esempio Don Bestia, “grasso come un porco, testa quadra, pecora nera di tutto il clero diocesano”; Moretto, con “occhi di bimbo omicida” o la folla di Rocchetta che prima sputa e inveisce contro il prigioniero Repubblicano e poi “trema come un bosco sotto il vento”. Tante figure di donne, dalla suorina che invita a pregare e regala il sacro cuore di Gesù, all’amore sognato di Alba, che lo rinomina Eathcliff e immagina che lo “bacerà fra sangue e gelo”, se verrà ammazzato sulla neve. Anna Maria, invece, con le sue gambe bellissime è donna in carne e ossa e studia Chimica, ma è troppo superba anche per i partigiani. Con lei a Santo Stefano riesce a vivere un prezioso momento di normalità e sentirsi a suo agio, “una cosa splendida e semplice”, così potente, che è a lei che rivolge la mente nei momenti più crudi, durante un rastrellamento, dopo una fucilazione, come antidoto alle brutture, come richiamo alla vita. Infine, due figure, rifugio e compagnia: la lupa, “bestia combattente”, inseparabile cane della Cascina della Langa, da cui sogna di farsi un “po’ leccare un po’ morsicare”, (in due parole tutta la sensualità fenogliana troppo spesso passata inosservata), all’arrivo in Cascina, e le Langhe. Esse non sono sfondo, ma vero e proprio personaggio. Accompagnano, osservano, proteggono, nascondono e soffrono. “Non fu abilità nostra, né che loro fossero tutte schiappe. Fu con la sua terra, la sua pietra e il suo bosco, la Langa, la nostra grande madre Langa” se fascisti e tedeschi “non si son salvate le spese”. E il nostro si annuncia spesso come “Beppe della Langa”.

Piccola nota biografica

Beppe Fenoglio l’8 Settembre 1943 sta frequentando a Roma la scuola ufficiali. Dopo l’armistizio risale verso Alba, a casa, e invece di nascondersi, decide di salire sulle colline e diventare partigiano, finendo prima fra le file delle Stelle rosse, i comunisti Garibaldini, e poi approdando negli Azzurri, i Badogliani. Il Beppe letterario, come quello in carne ed ossa, è un uomo che sceglie e prima che per un ideale politico, lo fa per un ideale civile e un profondo senso di giustizia.


Beppe-Fenoglio-appunti-opartigiani-copertinaScheda del libro

Titolo: Appunti Partigiani 1944-1945
Autore: Beppe Fenoglio
Editore: Einaudi
Prima edizione: Einaudi, 1994

Pubblicato in Narrativa.

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