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“Una piccola lavanderia a Yeonnam” (Casa Editrice Nord), di Kim Jiyun, è un romanzo sud coreano del 2024.
In un quartiere di Seul, che ha perso la sua dimensione residenziale diventando a vocazione turistica, c’è una lavanderia automatica, dove le vite dei protagonisti si intrecciano, grazie ad un taccuino verde chiaro lasciato lì da qualcuno. Chi vuole, chi ne sente il bisogno, chi ne avverte il desiderio, scrive sul taccuino i propri stati d’animo, in modo che le altre persone che frequentano la lavanderia possano a loro volta rispondere, commentare, consigliare.
Tutto avviene in forma anonima in una prima fase. Di volta in volta quelle parole si trasformeranno in vere e proprie storie di quotidianità, di solitudine, dolore, incertezza, paure, nelle quali l’eroe buono esiste ed è l’altro, l’altro che troppo spesso si tende a rimuovere preferendo avvilupparsi attorno a se stessi, convinti di bastarci.
La poetica dell’immateriale
Probabilmente la Corea del Sud attraversa una fase storica di tensione tra antico e moderno, tra conservatorismo e progressismo, tra sentimento e ragione, e la letteratura ne diventa espressione. Esiste un filone letterario sud coreano che spazia dalla saggistica alla narrativa, da “Le non cose” di Byung-chul Han a “Dove si riparano i ricordi” di Jungeun Yun, con un collante comune: riabilitare i valori. Cosa sono i valori e a cosa si contrappongono?
Ecco che la storia di Mi-ra, Woo-cheol e la loro figlia Na-hee, i cui reciproci rapporti sono dominati da frustrazione, proiezione dell’insoddisfazione e malessere a causa degli incalzanti debiti economici, prende la forma dell’umanità, della solidarietà e del riscatto, con l’aiuto del Signor Jang (il vecchio saggio, personaggio costante del romanzo, verso il quale se un lettore, uno qualunque, si accorgesse di non avvertire nemmeno un moto di affetto, dovrebbe interrogarsi su parecchie cose in una sede opportuna).
“Coltivi anche lei la terra, la esponga alla luce solare, la annaffi, sia sicura che abbia acqua a sufficienza. Vedrà che starà meglio, tanto che non saprà se è lei a coltivare la pianta o la pianta a prendersi cura di lei” è così che l’uomo risponde alle parole di Mi-ra sul taccuino, inaugurando con lei un rapporto simile ad una carezza. Le attenzioni quotidiane che si contrappongono alla velocità, l’intimismo come contraltare della lucida razionalità, alcuni aspetti sembrano rievocare anche il film Past lives di Celine Song, coreano anche questo.
Una piccola lavanderia a Yeonnam: un Manifesto alla fiducia
Il taccuino verde ne “Una piccola lavanderia a Yeonnam” rappresenta l’espediente letterario attorno al quale convergono le emozioni, la lavanderia invece un luogo fisico, reale, tangibile, dove lavare significa ricominciare, provare di nuovo. Nulla di tutto questo però prenderebbe forma se l’intero romanzo non fosse un inno al lasciarsi andare: perché mai qualcuno dovrebbe scrivere di sé a degli estranei, e perché un estraneo dovrebbe prodigarsi addirittura nel rispondere? “Ma quel giorno era diverso, non poter esprimere quello che aveva dentro le creava ansia. Desiderava aggrapparsi a quel blocco di carta e sfogarsi. La tensione era insopportabile, se non avesse dato sfogo a quello che sentiva sarebbe esplosa (p.157)”, le parole di Yeon-woo, una studentessa riservata e schiva, che stava vivendo giorni emotivamente complessi, dopo la fine di una relazione fatta di bugie e umiliazioni. Manifestare le proprie debolezze e accogliere quelle dell’altro senza strumentalizzarle, ma cogliendo l’occasione per essere d’aiuto, forse è questo il senso della parola fiducia espressa nel testo.
Noi e gli animali. Noi. Gli animali.
Il mito di Dangun identifica un’orsa, trasformata in un’umana come la creatrice della Corea. Le favole sugli animali rappresentano quindi una tradizione quasi congenita, evolvendosi nel tempo, attualizzando i significati metaforici attribuiti.
Ne “Una piccola lavanderia a Yeonnam” il cane del signor Jang, Jindol, è sinonimo di vita, speranza, genuinità; il loro rapporto di complicità e mutuo soccorso ha un ruolo nodale nel romanzo, si fa via via apprensione, vicinanza emotiva, tenerezza, nel recepìto del lettore.
Il signor Jang ha due rapporti viscerali, il secondo è con il figlio, un medico avido e materialista, succube di una moglie ossessionata dall’apparenza. Un’analisi semiotica interessante consisterebbe nel mappare le parole usate nel testo per ciascuna relazione, quella con il cane, quella con l’umano. Sarà invece un gatto fragile appena nato, Ah-ri, a restituire senso e identità a Yeon-woo.
E così, come per la pianta, ci si chiede se siamo stati noi a prenderci cura di lei o lei di noi.
Non per sintassi, né per prosa, né per stile
Questo romanzo non eccelle per raffinatezza stilistica, il lessico è abbastanza elementare, i periodi brevi e didascalici, i personaggi (tanti) accennati ma non sfumati attraverso le parole. Insomma, in sintesi, almeno personalmente preferisco (o sono abituata?) a testi più complessi, ad esercizi di stile che sfuggono il piattume cercando volutamente salti costanti tra l’asprezza e la dolcezza, a linguaggi oggetto di esegesi. Ma le mie preferenze in questa sede contano relativamente, quel che conta è lo slancio letterario verso l’umanesimo, che in effetti, se reale, non richiede grande laboriosità linguistica.
P.S. Una nota sul linguaggio: certamente la traduzione, per un’opera coreana, è una componente rilevante, così come la resa di elementi estremamente connotati culturalmente. Ci vorrebbe una figura esperta per valutare quanto sia fedele o comunque restituisca in maniera efficace la versione originale.
Scheda Libro
Titolo italiano: Una piccola lavanderia a Yeonnam
Autore: Kim Jiyun
Prima Edizione: 2024
Editore: Casa Editrice Nord
Anno: 2024