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La sonata a Kreutzer di Lev N. Tolstòj: il travolgente potere della musica.

La storia della composizione del romanzo breve ‘La sonata a Kreutzer‘ di Lev N. Tolstòj (Einaudi) si intreccia indissolubilmente con la musica. Il titolo è infatti lo stesso di una composizione di Ludwig van Beethoven, una sonata per pianoforte e violino composta tra il 1802 e il 1803, dedicata al musicista francese Rodolphe Kreutzer e per questo denominata Sonata a Kreutzer.

In questo racconto Tolstòj affronta il tema dell’amore e del matrimonio in una visione drammatica: solo la morte può porre fine al dolore di un rapporto, nel quale odio e amore, non trovando un equilibrio, si manifestano negli aspetti più estremi e negativi.

La sonata a Kreutzer, un racconto controverso

Il primo abbozzo della storia venne scritto nel 1887 dopo che l’attore Andreev Burlak si era recato alla tenuta di Tolstòj, raccontandogli come, un giorno, un signore in treno gli aveva rivelato la propria disgrazia causata dal tradimento della moglie.
Il processo di scrittura continua fino al 1889 quando Tolstòj termina l’ottava redazione, affidandola, per consigli e suggerimenti, alla lettura di amici. La distribuzione di copie a mano e in forma litografica contribuisce alla diffusione dell’opera e, a insaputa di Tolstòj, il racconto raggiunge i circoli intellettuali di Pietroburgo in una versione non autorizzata e non conclusiva: arriva a Mosca, nelle province russe e all’estero, suscitando un notevole disappunto.
Alcuni amici sollecitano lo scrittore ad essere meno rigido nei confronti del matrimonio e a riesaminare le argomentazioni sulla castità nella vita coniugale.
Tolstòj non recede dalle sue posizioni.
Nell’autunno del 1889 La Sonata a Kreutzer fu compiuta; la censura ne proibì la stampa e, grazie alla capacità persuasiva di sua moglie Sof’ja, lo zar Alessandro III diede il nihil obstat.

La trama

La trama de La sonata a Kreutzer è fin troppo semplice: durante un viaggio, il narratore, che rimane anonimo, condivide lo scompartimento del treno con Vasja Pozdnyšev. Dopo una conversazione sul matrimonio e la vita di famiglia, Pozdnyšev confessa, raccontando tutti i particolari della vicenda, di aver ucciso la moglie per gelosia, sentimento che iniziava “a ruggire nella sua tana e voleva balzar fuori, ma io avevo paura di questa belva e la rinchiusi al più presto” (p.94).

Chi è Vasja Pozdnyšev? È un uomo- simbolo di una nobiltà che sta modificando abitudini. Si presenta così: “Sono proprietario terriero, e ho una un diploma di studi universitari, e sono stato maresciallo della nobiltà […] Credevo d’essere un simpaticone, d’ essere una persona pienamente morale. Non ero un seduttore, non avevo gusti contro natura […] ma mi davo alla depravazione con gravità, con decenza, per salute. Evitavo le donne che, mettendo al mondo un bambino o affezionandosi a me, avrebbero potuto costituire un legame con me” (p.17).

Pozdnyšev ritiene che l’ossessione dell’uomo per la carnalità e per il sesso siano state le cause della sua rovina. Fin da giovane, come ogni altro uomo, è stato frequentatore di postriboli (m’insudiciavo nel marciume della depravazione, confesserà) che lo hanno condannato a una vita di perversione la quale ha trovato la sua naturale fine nell’uccisione della moglie.

Per lui l’amore è l’origine d’ogni male, mentre il matrimonio è una maschera per celare un’esistenza animalesca: “Tra noi la gente si sposa non vedendo nulla, nel matrimonio, all’infuori dell’accoppiamento, e ne risulta un inganno o una violenza. Il marito e la moglie non fanno che ingannare la gente con la loro monogamia, ma vivono in poligamia e in poliandria […] allora ne risulta quell’inferno tremendo che induce le persone a darsi da bere, a spararsi, e ad avvelenarsi da sé stessi e tra loro” (pp.14-15).

Il suo rifiuto dell’atto sessuale in sé è visto come un gesto brutale: “Naturale? […] No, vi dirò al contrario che mi sono convinto che è una cosa non naturale. Sì internamente non…naturale” (p.39).

I coniugi hanno cominciato a odiarsi già subito dopo il matrimonio, Pozdnyšev sembra ingigantire dettagli banali, ossessionato da una gelosia non spiegabile razionalmente: “Per tutto il tempo della mia vita coniugale non smisi mai di provare i tormenti della gelosia” (p.55).
E, preso da una dannosa idea di possesso, spiega: “L’orribile era che io mi riconoscevo un indubitabile pieno diritto sul suo corpo, come se fosse stato il mio corpo, e nello stesso tempo sentivo che possederlo, questo corpo, non potevo, che non era mio, e che lei poteva disporre come voleva, e voleva disporne diversamente da come io volevo” (pp.101-102).
Durante il racconto, si chiede come avesse fino a quel momento potuto ignorare i segnali che improvvisamente si rivelano in tutta la loro chiarezza. Terribile è la minuziosa descrizione degli sguardi e dei gesti tra la moglie e il violinista: “Ricordo il suo debole, lamentoso, beato sorriso, mentre si asciugava il sudore sul viso fattosi rosso, quando mi sono avvicinato al pianoforte. Allora evitavano già di guardarsi, e soltanto a cena, quando lui le versava dell’acqua, si sono guardati, sorridendo appena. Adesso ricordavo con orrore quello sguardo da me sorpreso insieme al sorriso appena percettibile. «Si, tutto è consumato», mi diceva una voce, e subito un’altra voce diceva un’altra cosa: «T’ha preso qualcosa». «Non è possibile», diceva quest’altra voce” (p.96).

Il risultato di questi malsani pensieri terminerà nel gesto preannunciato fin dall’inizio: l’uccisione della donna. “Sentii e ricordo la momentanea opposta per un attimo dal busto e da qualcosa ancora, e poi l’immersione del coltello nella parte molle […] mi rammento confusamente che, conficcato il pugnale, lo trassi fuori subito, desiderando riparare quanto avevo fatto e fermarlo […] capii che rimediare non si poteva, e conclusi che non si doveva neppure, che proprio questo io volevo e proprio questo dovevo fare. Aspettai finché ella non cadde” (pp.111-112).
Pozdnyšev, una vera belva, rimane sconcertato quando lei, prima di morire, gli sussurrerà:
Hai raggiunto il tuo scopo, mi hai uccisa […] I bambini…però…non te li…lascio. Li prenderà…lei (la sorella) […] Ti odio (p. 116).

Il potere della musica

Tolstòj ha usato la sonata di Ludwig van Beethoven come titolo per il racconto e come elemento scatenante all’interno della trama. Pozdnyšev confessa di aver ucciso la moglie perché persuaso che lei intrattenesse una relazione con un musicista, Truchačevskij. Il sospetto cresce mentre i due eseguono la Sonata a Kreutzer: l’ascolto di quella musica lo trascina in una spirale di sensazioni che man mano si fanno più dense. Sente crescere tra la moglie e il violinista una potenza emotiva e carnale:
Ricordo poi come si guardarono tra loro, e cominciò. Lui prese i primi accordi, gli era venuto un viso serio, severo, simpatico, e con dita attente pizzicò le corde. Il pianoforte gli rispose. E cominciò” (p.90).
Pozdnyšev inizia a raccontare tutti dettagli che mettono in evidenza la forte intesa tra i due: il suonare insieme è da lui interpretato come un vero e proprio atto sessuale. La causa di quei gesti così descritti viene associato alla natura di quella sonata, che è definita una cosa terribile.
Dicono che la musica agisca in modo da elevare l’anima: sono sciocchezze […] agisce terribilmente, parlo di me stesso, ma niente affatto in modo da elevare l’anima; non agisce in modo né da elevare, né da abbassare l’anima, ma in modo da eccitare l’anima” (p.90).
La passione e il tradimento tra i due amanti maturano piano piano nell’intreccio delle parti strumentali che si cercano spinti dal desiderio, e nella voce del pianoforte che, mescolandosi nel movimento del violino, fa vibrare i corpi.

La forza di quella musica resta impressa con decisione nella mente di Pozdnyšev che dirà: “Suonavano la Sonata a Kreutzer di Beethoven. […] Conoscete il primo presto? Lo conoscete? Uh! Uh! È una cosa terribile quella sonata! E appunto quella parte. E la musica in genere è una cosa terribile! Che cosa fa? E come mai fa quello che fa? […] Sotto l’influsso della musica mi pare di sentire quello che in realtà non provo, di capire quello che non capisco, di potere quello che non posso […] La musica mi trasporta d’un colpo, immediatamente, nello stato d’animo in cui si trovava colui che ha scritto quella musica. Mi fondo spiritualmente con lui e insieme a lui passo da uno stato d’animo all’altro. Ma perché lo faccio, non so. Perché colui che ha scritto, per esempio, la Sonata a Kreutzer, Beethoven, lo sapeva bene come mai si trovava in quello stato d’animo: quello stato d’animo l’aveva indotto a determinate azioni e perciò quello stato d’animo per lui aveva un senso, per me invece non ne ha nessuno. Ed è perciò che la musica eccita soltanto, non conclude […] Su di me, almeno, questo pezzo ebbe un’azione tremenda: fu come se mi scoprissero dei sentimenti che mi sembravano nuovi, delle nuove possibilità che ad allora non conoscevo. «Sì, ecco com’è, tutto diverso da come pensavo e vivevo prima, ecco invece com’è». Era come se dicesse una voce nell’animo mio” (pp. 90-92).

La gelosia?

Sarebbe superficiale considerare la gelosia come causa dell’uxoricidio: non è questo ciò che Tolstòj vuol comunicare, anche se nei fatti ne è il motivo scatenante. Lo scrittore condanna la sensualità che fa dell’amore un rapporto di proprietà e dipendenza nel quale l’uomo considera la donna un oggetto di piacere che soddisfi i suoi vizi e desideri e la donna, di contro, una seduttrice senza scrupoli.
La conclusione è che la natura dell’istinto sessuale ha provocato l’omicidio e la natura propria dei rapporti fa delle persone oggetti, mentre il terrore di essere derubato di qualcosa, accende istinti non controllabili. E così la paura di Pozdnyšev si canalizza nella serata musicale nella quale lei al pianoforte e lui al violino, suonano, oltre ad altri brani, la Sonata a Kreutzer.
Tutta la narrazione, che scorre fluidamente, si rivela come una disperata supplica di perdono, e, dalle labbra dell’uomo, ascoltiamo: “Sì, perdonatemi, fece, ripetendo la medesima parola con cui aveva concluso anche tutto il racconto” (p.117).

Negli spazi inquietanti dell’esistenza

Questo romanzo, a distanza di anni, resta una lettura avvincente e una storia di grande attualità: il dramma di una gelosia accecante che fa smarrire la ragione, di un amore che si fa a poco a poco possesso e odio. È la storia di un’ossessione: la donna non è riconosciuta come essere umano, ma come oggetto di desiderio. Solo dopo averla uccisa, il protagonista dirà: “Guardai i bambini, il suo viso tumefatto e pieno di lividure, e per la prima volta mi dimenticai di me stesso, dei miei diritti, del mio orgoglio, per la prima volta vidi in lei un essere umano. E così insignificante mi apparve tutto ciò che mi offendeva, tutta la mia gelosia” (p.116).

Dopo averle dato la morte, tutto appare chiaro. “Cominciai a capire solamente quando la vidi nella bara […] Solamente quando vidi il suo viso morto, capii tutto quello che avevo fatto. Capii che io, io l’avevo uccisa, che era causa mia era accaduto che lei prima era viva, si moveva, era calda, mentre adesso era diventata immobile, cere fredda, e che a questo non si poteva rimediare mai […] Chi non l’ha passato non può capire” (p.117).

Alla fine della lettura, ci poniamo alcune domande: Che cos’è il rapporto tra un uomo e una donna? E come si trasforma nel tempo? Come si allontanano due esistenze? Come si arriva a provare un odio feroce verso l’altro? Come si può privare della vita un altro essere umano?
Nonostante questo racconto sia stato scritto due secoli fa, il tema sviscerato è quanto mai vivo, attuale e tremendamente messo a fuoco. Un magistrale lavoro di scrittura capace di illuminare gli spazi inquietanti della nostra esistenza.


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Scheda libro

Titolo: La sonata a Kreutzer

Autore: Lev N. Tolstòj

Editore: Einaudi

Data di Pubblicazione: 2014

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