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Potevo intitolarlo ‘voce di donna’ ma non sto ancora a questi livelli, il libro intervista a Emanuela Fanelli

Potevo intitolarlo ‘voce di donna’ ma non sto ancora a questi livelli (People)  è un libro intervista, anzi meglio un libro chiacchierata al bar, tra Marco Tiberi che fa delle domande e Emanuela Fanelli che dà delle risposte. E fino a qui nulla di nuovo, un format collaudato.

Una chiacchierata con birra

La vera novità, che novità non è più perché si tratta di un libro del 2021, risiede tutta nella capacità della Fanelli di stare un po’ dentro e un po’ fuori dalle cose, e siccome tante cose, se ci si distanzia il giusto, hanno una serie di aspetti comici, che fanno ridere, questa intervista fa ridere (potrei aggiungere anche riflettere ma non sto ancora a quei livelli, nemmeno io. O almeno spero).

Emanuela Fanelli, attrice, conduttrice, semi-comica, eccetera, è una persona di un talento che non si vedeva da tempo, lo è nei tempi, nelle movenze, nell’espressività, nei contenuti, nella meta-analisi (non so se volontaria), nella personalità. Nel libro intervista Tiberi le chiede della sua famiglia, del suo lavoro, della recitazione, della formazione teatrale, del rapporto con il pubblico, del programma “Una pezza di Lundini”, dell’idea di attivismo e femminismo. Tutti temi che affronta in maniera spontanea, mai didascalica, senza morale da ricavare.

La solennità fa ridere

L’elemento particolare, e che invece dovrebbe rappresentare la normalità, è il suo rispondere ridimensionando continuamente tutto, dal successo ai dolori, riportando quel piano narrativo scandito dal dentro/fuori, vicino/lontano, che restituisce la cifra sicuramente comica da un lato, ma in maniera più ampia e sociologica inaugura, o comunque fa parte, di un filone più ampio, una nuova generazione (nuova non per giovane età ma per relativa recente comparsa) di comici, personaggi tv, quella dell’equilibrio e del raziocinio.

Il contrario dell’esaltazione di ogni esperienza individuale come unica, irripetibile, gigantesca. “Una volta ho frequentato da uditrice un seminario per attori, dove devono piangere tutti. L’insegnante diceva adesso tutti sul quaderno scrivete Tu non mi ami, e poi capite quale persona vi viene in mente. E mio padre, m’ha fatto questo e mia madre quest’altro, alle donne soprattutto i padri fanno sempre qualcosa di brutto. Tutti serissimi, super coinvolti. Invece a me veniva da ridere, visto da fuori mi sembrava proprio: ma guarda tu, sto gruppo di gente del primo mondo, me compresa, che gli ha detto un culo infinito nella vita, e che per provare a piangere si deve ricordare del padre che non gli ha fatto gli auguri a otto anni”.

Questo è uno dei tanti passaggi divertenti del libro, più lungo e dettagliato ma che qui ho condensato. Il tema principale, che emerge spesso è il rapporto con la solennità, il rifuggirla attraverso il cambio di prospettiva e punto di vista, dissacrandola. E infatti anche Voci di donne, il titolo di una serie di monologhi meravigliosi di Emanuela Fanelli a Una pezza di Lundini, va nella stessa direzione: lei con un linguaggio aulico simula una donna che parla da simil-eroina a nome di tutte le donne, ricorrendo ai miti greci, il tutto alternato da una sorta di voce della coscienza (sempre la sua) che riporta ad un piano di realtà popolare, anzi semplicemente di realtà. Scriverlo è davvero complicato, bisogna guardarla per capire quanti linguaggi e piani è riuscita a sovrapporre.

Sul femminismo

“Io credo che la vera libertà, il vero senso di tutte le battaglie che ci sono state e che dobbiamo ancora fare, sia che io possa parlare a nome mio e basta”. Questa la risposta alla domanda di Tiberi sul suo pensiero nei confronti dei movimenti femministi. Senza entrare nel merito del tema, si evince un certo rifiuto, verso i “ve lo spiego io perché”, “le cinque cose che non sapete”, “tutta la verità su”, tipici incipit di post, articoli, approfondimenti, emblema di un linguaggio attuale, immediato, arrogante, illusorio.

Piccola divagazione personale: quando ero adolescente e anche dopo i vent’anni, mi divertiva di più stare in compagnia di ragazzi che di ragazze. Questo perché le ragazze non facevano ridere, cioè potenzialmente sì, ma poi preferivano i silenzi, la compostezza, la mano davanti alla bocca quando si ride o peggio ridevano a bocca stretta senza far rumore, la costante attenzione su ciò che dicevano, la voce sottile tipo un po’ in falsetto, e non lo so perché, se si tratta davvero di una cosa legata all’oggettificazione (lo sguardo maschile e annessi), se è retaggio, se un non sentirsi libere. Di certo non è un elemento connaturato, qualcosa del tipo un cromosoma della noia. E infatti, tanto non è scritto nel DNA che oggi, dopo circa quindici anni, si sono moltiplicate le ragazze (anche molto giovani) che fanno stand up comedy, sketch sui social, video parodistici, ognuna con un linguaggio diverso – il proprio. Questo non essere più spettatrici ma soggetti di comicità forse è già un pezzo di battaglia accennata da Fanelli.

Potevo intitolarlo ‘voce di donna’ ma non sto ancora a questi livelli: conclusioni

Dopo anni (decenni) di televisione (e oggi di video social che spesso sono comunque estratti di ciò che accade in televisione) caratterizzata dall’iper rappresentazione dei sentimenti, esasperazione delle sensazioni, polarizzazione estrema su temi di alcun rilievo, di inconsistenza che diventa contenuto, guardare, leggere, ascoltare persone come la Fanelli (e non solo) non cambia assolutamente le cose, non sposta minimamente il corso socio-antropologico del rappresentato mediatico, ma rincuora su un aspetto: non siamo soli, siamo in tanti a non esserci ancora rincoglioniti del tutto.


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Titolo: Potevo intitolarlo ‘voce di donna’ ma non sto ancora a questi livelli

Autori:
Emanuela Fanelli, Marco Tiberi

Editore:
People

Prima Edizione:
2021

Pagine: 144


 

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