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‘L’utilità dell’inutile. Manifesto’, Nuccio Ordine e il sapere rigenerativo delle discipline speculative

Un’arringa accorata in difesa di quello che a prima vista si presenta come un ossimoro tanto raffinato quanto impegnativo. Perchè, nell’”inattesa utilità dell’inutile”di cui già Hugo parla ne I miserabili, si nasconde la scure con la quale abbattere la schiavitù più longeva che la Storia ricordi: quella del “chi non ha non è”.

Basta già il titolo del saggio di Nuccio Ordine, professore ordinario presso l’Università della Calabria, L’utilità dell’inutile. Manifesto (Bompiani) a circoscrivere i contorni tematici di un testo che è insieme un accumularsi metodico di testimonianze e una vibrante dichiarazione programmatica, articolato in una lunga serie ragionata di riflessioni che si specchiano nel saggio di Abraham Flexner, precedente di tre quarti di secolo e qui riproposto in appendice.

Un testo, quello del Presidente del Centro Internazionale di Studi Telesiani, Bruniani e Campanelliani, permeato dall’urgenza di riscoprire, recuperare e valorizzare il lascito di bellezza contenuto al fondo di un sapere teoretico, quello condensato nei vocabolari dell’arte, della filosofia, della letteratura, della poesia, della ricerca scientifica di base, erroneamente declassato a superfluo, ininfluente, e per questo passibile di liquidazione da parte di un homo œconomicus accecato dalle luci del profitto. Intento, semmai, a occuparsi della speculare inutilità dell’utile, a un’amplificazione estatica della logica dell’usa-e-getta francamente imbarazzante, che lo condanna alla banalità disperata di un automa sopraffatto da appetiti fugaci e inconsistenti, dai quali eternamente riemerge insoddisfatto. Eppure, per quanto paradossale possa apparire, oggigiorno da più parti si sollevano le rimostranze di quanti vorrebbero sbarazzarsi una volta per tutte di un patrimonio di conoscenze che, agli occhi di chi è incapace di cogliere il nesso tra atteggiamento speculativo e Progresso, è diventato nulla più di un odioso fardello.

Linguaggi e sguardi

Conoscenze che rischiano di rimanere relegate in una marginalità senza appello, lontane dall’attenzione dell’opinione pubblica e dalle sovvenzioni dei governi, squalificate al rango di attività ininfluenti per il semplice fatto di non perseguire un obiettivo tangibile e immediato.

La cui unica colpa sarebbe quella di reclamare un’autonomia rispetto alle logiche di un mercato che dirotta finanziamenti verso filoni di ricerca considerati produttivi nel brevissimo termine a dispetto di quelli che, pur non proponendosi un riconoscimento in termini economici, sovente lo riscuotono comunque, seppur in tempi maggiori.

Linguaggi evolutisi lungo i secoli, capaci di dialogare col tempo, di fissarlo negli occhi con sguardo pacificato, non lasciandosene condizionare ma semmai servendosene come incubatore di desideri, ideali, aspirazioni, senza i quali l’uomo regredirebbe alla poco lusinghiera condizione stagnante di un automa eterodiretto, vittima predestinata dei totalitarismi di oggi e di ieri.

Le discipline speculative, finestre sull’uomo

Tempi duri, quelli odierni, per le discipline speculative, tacciate di essersi insuperbite nella propria improduttività e cui pure andrebbe riconosciuto il merito di essere state formidabili artefici di concetti fondativi del vivere civile – basti pensare a democrazia, libertà, uguaglianza, tolleranza, solidarietà – senza i quali saremmo tutti più poveri.

Discipline come finestre sull’uomo che, con la gratuità indomita e indisponente che le contraddistingue, rappresentano l’unico antidoto possibile a quella desertificazione dello spirito che decreta la supremazia dell’apparire e la dittatura del possesso che avanzano implacabili nel dibattito odierno, tutto proteso verso lo strapiombo dell’accumulazione barbara e fratricida di risorse, potere e consenso, verso un successo senza respiro e senza futuro, prostrato alle leggi del mercato e accessibile solo a patto di frequentare assiduamente l’arte del raggiro, di ricorrere a sottigliezze e tecnicismi non sempre cristallini, senza una scintilla di curiosità verso l’Interiorità, l’Altro, la custodia della Casa comune.

Nuccio Ordine e il manifesto di un nuovo sapere

Un sapere generativo, trasformativo, capace di reggersi sulle proprie gambe, di rendere conto dei propri ripensamenti, irriducibile entro gli orizzonti angusti della riproduzione seriale di una prassi permeata dal calcolo, rivolta al soddisfacimento di un bisogno tangibile, al conseguimento di un guadagno quantificabile e massimizzabile, riconosciuto a condizione che (e nella misura in cui) possa essere monetizzato. Una prospettiva che vuole la conoscenza asservita alla causa economico – ingegneristica che tutto stima e tutto soppesa, al “delirio d’onnipotenza del denaro e dell’utilitarismo”, che disconoscono un valore a tutto ciò al quale non riescono ad assegnare un prezzo. Una visione sorda, nella sua ferrea tangibilità, all’afflato universalistico e alle istanze di giustizia sociale, che pure costituiscono garanzia irrinunciabile della dignità di donne e uomini consapevoli della cifra del loro stare nel mondo.

Un sapere sganciato da un (più o meno) immediato tornaconto, capace di volare alto oltre gli ostacoli del contingente perché privo di padroni, non ossessionato dalla necessità di dover rendere conto dei propri frutti intellettuali, di doversi tramutare in moneta sonante: in effetti, funzionalizzare la conoscenza all’utilità rappresenta un grave delitto, contro il quale gli scrittori di ogni tempo, dall’Aristotele della Metafisica al Dante del Convivio fino al Gautier di Mademoiselle de Maupin e al Dickens di Tempi difficili, si sono schierati con veemenza.

Il tempo delle ‘umane cose’

È giunto allora il tempo di rivendicare per le discipline umanistiche un nuovo protagonismo, esente da qualsiasi vincolo di risultato contro le pretese condizionanti di quella che viene definita “un’errata idea di progresso”, da quella signoria della dimensione economica che impone la ristrettezza di visuale caratteristica di un sapere algoritmico che procede a tappe forzate verso il raggiungimento del profitto, non importa a quale prezzo, e che sdogana la corruzione, l’insolenza, la superbia sistematizzate. Da un’utilitarismo ottuso che imprigiona la realtà multiforme della gamma espressiva umana nello steccato delle leggi del mercato, e che rappresenta una delle tante facce – non necessariamente la più subdola – dell’imperante egoismo che pervade la società civile contemporanea.

Il tempo di gettare le fondamenta per una stagione di rinascita capace di trasformare una “non – vita” in una esistenza ravvivata dalla curiositas per le “umane cose”, che scruta orizzonti tanto lontani quanto raggiungibili.

Il tempo di abbeverarsi alla scaturigine di stupore che sgorga da una prassi di ricerca alla quale sia riconosciuto il diritto alla lentezza inesorabile di un fiore che sboccia, di un frutto che matura al sole, di un gesto gratuito e disinteressato che sparge felicità tutto intorno, senza fare rumore.

Il tempo di riguadagnare una distanza salvifica dai falsi idoli di un progresso meschino e rabbioso, nella quale riscoprire il significato del superfluo, del negletto, finanche dell’utopico. Dalla quale guardare ai saperi come a fronde dello stesso albero, in aperta contestazione all’ultraspecializzazione delle conoscenze che vede nell’apertura all’“inutile”, al non immediatamente spendibile, la variabile impazzita, il morbo da estirpare.

Una presa di posizione ferma, quella estrinsecata in questo manifesto da Nuccio Ordine, che lascia intendere sviluppi futuri nella direzione tracciata da Italo Calvino ne Le città invisibili: “saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Senza condizioni.


Lutilita-dellinutile-Nuccio-Ordine-webScheda del libro, L’utilità dell’inutile. Manifesto

Titolo:
L’utilità dell’inutile. Manifesto

Autore:
Nuccio Ordine

Editore:
Bompiani

Anno:
2020


 

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