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Ci sono libri che ci inseguono, ci cercano e, alla fine, ci trovano proprio nel momento giusto; restano impigliati alla nostra anima, o viceversa lei a loro, perché per similitudine si sono attratti, mescolati e confusi: come certi amori, a cui si impara a sopravvivere, o certe ossessioni, che si provano a dominare, senza mai affrancarsi del tutto né dagli uni, né dalle altre.
“Sotto il vulcano” (Feltrinelli) è per me quel libro, definito dal suo stesso autore, Malcolm Lowry, una “Divina Commedia ubriaca”. Dunque, sulla soglia di questo romanzo, “lasciate ogni speranza” e perdetevi fra le sue pagine. Ogni volta che vi inabisserete nella sua lettura, riemergerete con un nuovo dubbio e con nessuna risposta, ma con la sensazione di aver colto una dimensione nascosta della realtà, dell’anima e forse della vostra vita.
Nella trama Malcolm Lowry imprime il rovesciamento della realtà
Complicato parlare di trama per una narrazione che si svolge in un’unica giornata, con il tempo letterario dilatato fino all’eccesso, che perde il suo valore assoluto per diventare una variabile completamente distorta in mano ai personaggi.
Tutto al rovescio, si comincia dalla conclusione. Un anno dopo la vicenda, le “voci amiche” di Laruelle e del Dott. Vigil provano a spiegare “ogni cosa”, giustificando e ragionando sull’insensatezza della tragedia che indirettamente ha coinvolto anche loro. Sebbene i fatti accaduti il 2 Novembre del 1938 sembrino “già appartenere a un’altra era” e potrebbero “essere inghiottiti come una goccia d’acqua” dagli “orrori del presente”, in realtà ha senso ricordare il tempo in cui “una vita individuale conservava qualche valore e non era un semplice errore di stampa in un comunicato”.
Anche il racconto ha origine dove la maggior parte degli schemi narrativi si concludono, con un ritorno, quello agognato e insperato di un amore perduto, Yvonne, moglie dell’ex console di Gran Bretagna in Messico, Geoffrey Firmin, protagonista del libro.
L’amore, una bufera fuori stagione
L’amore “che muove il sole e le altre stelle” pervade tutto: è perduto, sognato, agognato, è impossibile, ma soprattutto disperato; non ha nulla di edulcorato e rassicurante; è dirompente, forza dionisiaca che al pari dell’alcool distrugge, annienta e uccide.
La conoscenza dell’amore secondo Malcolm Lowry è una scelta coraggiosa, quella di “un grande esploratore che abbia scoperto una terra straordinaria dalla quale non possa mai ritornare per darne contezza al mondo”; quella terra, che ha nome “Inferno” non è il Messico, ma il “cuore dell’uomo”. Moderno Orfeo, chi decide di percorrere la strada dell’amore scende agli Inferi e torna solo, perché l’amore è una questione solitaria, “una malattia”, come dice Vigil, “di quella parte che si chiama anima”.
L’amore è “un’oscura bufera che scoppiava fuori stagione”, ma senza alcuna quiete seguente e permetti che “un simile amore ti paralizzi, ti acciechi, ti renda folle e ti riduca morto”, con la consapevolezza che non spegnerà “la sete spiegare che amore fosse quello che veniva troppo tardi”. “La sete che non era sete”, ma “crepacuore”, dolore fisico, perché “peggio di tutto” è sentire l’anima dell’altro “morire” (per lontananza e silenzio) dopo la separazione.
Tuttavia chi ama è tenero, fragile, sincero e bellissimo. Prova a lottare “testardamente contro” il proprio amore e ad aggrapparsi “ad ogni radice e ad ogni ramo” che aiutino “a varcare” “l’abisso spalancatosi”, ma non sa trovare “qualcosa in ricordo” per odiare, anche se esiste, può solo pregare in solitudine “ritorna a me come una volta in maggio” “anche per un giorno soltanto”.
“Perché”, allora, “all’uomo è stato offerto l’amore?”
Perché “no se pueve vivir sin amar”.
Parole scritte sul muro di casa di Laruelle, da “quello estupido” del Console, pronunciate nella conversazione iniziale e ripetute più volte fino all’ultima pagina, perché “l’amore è la sola cosa che
dà un significato alle nostre povere esistenze sulla terra”. Non è “precisamente una scoperta” riconosce lucidamente il console, nonostante i numerosi “mescalito” che accompagnano la stesura di una lettera alla moglie, mai spedita.
I sensi di colpa e la fuga
Malcolm Lowry crea personaggi credibili, pieni di sfumature, veri. Costruisce e sconvolge la loro fisionomia in tutto l’arco del romanzo, aggiungendo e modellando, mutando i loro atteggiamenti secondo l’interlocutore, l’ambiente e il tempo. L’amico di infanzia ritrovato in Messico, Laruelle, e il
fratellastro del console, Hughes, non si erano piaciuti troppo la prima volta che si erano visti, “esteta di mezza età, scapolo inveterato e ambiguo”, uno, e “marxista professionale da salotto”, “romantico estroverso”, “vanesio e timido”, il secondo, ma al momento di separarsi, solo tre giorni dopo, sono quasi come padre e figlio.
Condividono l’amore o solo la passione per la moglie del Console, ma anche una profonda ammirazione per il Console stesso, così che non si riesca mai a definire del tutto quali siano i reali sentimenti di questo quadrilatero amoroso: Lowry spariglia di continuo le carte, mescola traditi e traditori, tutti colpevoli e tutti potenzialmente vittime assolte, senza perdono verso gli altri e se stessi.
Tuttavia, per paradosso, la più sola e disperata ci appare Yvonne, donna bellissima e moderna, senza una totale emancipazione da un mondo ancora maschile. Nessuno la segue, quando se ne va, e al suo ritorno trova con sorpresa i suoi amanti consolarsi in casa del marito. Yvonne, che si mette a sistemare il giardino in rovina, emblema del suo matrimonio, per poi lasciarsi andare a una passeggiata a cavallo con Hughes, in una mattinata di “visioni e miracoli”, in cui “è dato scorgere per un’ora ciò che non fu mai”, “l’immagine” “della felicità”; Yvonne “in tailleur bianco”, “abbronzata, giovanile e senza età”, ticchetta “sulle sue scarpette rosse”, mentre prova ad assecondare il marito: “nessuno che le fosse passato accanto avrebbe potuto sospettare il dolore che la straziava”.
Personaggi tormentati (“sei un traditore, frusciarono le foglie dei banani”) quelli tracciati da Malcolm Lowry, perennemente in fuga da se stessi (“si rendeva conto di non essere sfuggito alla sua vita”) in quella “Fuga senza fine” di una generazione intera, descritta da Joseph Roth, altro santo bevitore, nell’omonimo romanzo; stretta fra due guerre, non si riconosce nel passato ed è incapace di fermare la devastazione incombente, anche per lo spiccato individualismo per cui non prova “molte emozioni nei riguardi della guerra, se non che era una rovina” e che “una parte o l’altra avrebbe finito per vincere”, ma in entrambi i casi “la vita sarebbe stata dura” e “la battaglia individuale sarebbe continuata”.
La prosa di Malcolm Lowry e i suoi mille registri
Lo stile narrativo di Malcolm Lowry in alcuni punti sfiora il rocambolesco, con periodi interminabili che si intersecano, si dipanano e spesso, quando arrivano al clou, si sospendono per un avvenimento inaspettato, che sia un pensiero, un animale o una sigaretta da accendere. La prosa, perciò, fa parte della trama, giocando con le digressioni, con lo stato d’animo e il cinismo o l’ironia dei personaggi attraverso iperboli (figli mai avuti “affogati con l’accompagnamento gorgogliante di mille irrigazioni vaginali”), metafore (“Capra Marina” la costellazione del Capricorno) e similitudini (“si fronteggiavano come due fortezze che non comunicano”), utilizzando un lessico ricco, simbolico, capace di attingere dal parlato, fino all’osceno, sia da un registro alto, con tanti riferimenti letterari, più o meno espliciti, e al tecnico, come i nomi scientifici delle piante o delle stelle.
Non di rado ricorre alla personificazione degli oggetti: “perché son qui, dice il silenzio, che ho mai fatto, echeggia la sala deserta, perché mi sono rovinato di mia spontanea volontà, ridacchiano gli spicci nel registratore di cassa”. “La piazza non gli rispose”. Tuttavia Malcolm Lowry riesce anche a regalarci una scrittura lucida e pura, incisiva nelle descrizioni ad esempio dei giardini (“osserva l’agonia delle rose”; “i banani coi loro bizzarri germogli, simbolo un tempo di vita, ora di triste morte fallica”), dei temporali (“corsieri velocissimi che davano la scalata al cielo”) e dei pensieri (“Guardò le nuvole che correvano per il cielo messicano. Come correvano veloci, come fuggivano via troppo veloci”. “Ventinove nuvole. Un uomo ventinovenne era già sui trent’anni”).
Una prosa che abbraccia e muta in stili diversi e spesso si fa poesia, “che anche se è cattiva” “è sempre meglio della vita”, complessa e articolata come il romanzo stesso.
La rovina
Come nel più classico binomio, l’amore non va discinto dalla morte, anche se Malcolm Lowry ne rovescia il concetto: non si rende eterno l’amore, ma un senso di disfacimento e rovina lo impregna e lo trascina agli inferi. Non a caso la vicenda si svolge nel Giorno dei Morti e in Messico, Paese con un culto importante legato ai defunti, con processioni che sbucano da ogni strada e il funerale di un bambino, accompagnato da la Cucaracha. Il Casino de la Selva, sulla cui terrazza bevono anìs Laruelle e il Dott. Vigil, “effonde una cert’aria di desolato splendore”, con i “fantasmi dei giocatori d’azzardo rovinati” che “lo infestano”.
Tutto è presagio di rovina, “gli avvoltoi sonnacchiosi”, “lo scorpione” che “non volendo essere salvato”, si trafigge “a morte”, il palazzo di Massimiliano, “luogo dove un tempo l’amore aveva covato” ora “parte di un incubo”, il giardino diventato “tutto una rovina” e le “Malebolge”, “la barranca” che “tagliava in due l’intera città”. Il Console è già nel suo Inferno personale, “nella sua inutile ed egoistica rovina” col suo “notturno corpo a corpo con la morte” e “la stanza che trema di orchestre demoniache”, coi suoi “demoni ronzanti nelle orecchie”, le voci e le allucinazioni di cadaveri e tombe.
“Polvere” è tra la parole che ricorrono più spesso.
I due vulcani
I vulcani del libro di Malcolm Lowry, sotto cui si muovono i personaggi, sono due: il Popocatepetl e l’Ixtaccihuatl. “Dominano la regione nord-orientale” e si stagliano sulla città di Quauhnahuac, a volte minacciosi, a volte sereni, scomparendo ogni tanto alla vista, fra cortine di nuvole.
Il valore simbolico è doppio: sotto il vulcano “gli antichi avevano posto il Tartaro”, l’Inferno, “con il mostro Tifeo dalle cento teste” ed essi rappresentano anche “l’emblema del matrimonio perfetto”, uno di fronte all’altro, nell’atto di guardarsi in lontananza, con l’incapacità di comunicare ed esprimere l’amore.
Come “La Despedida”, la roccia “immutabile e tutta d’un pezzo”, finché un incendio non l’aveva separata in due metà divise, “cancellando la forza che avrebbe potuto tenerle unite”, impossibili da
risaldare, “sarebbero crollate in polvere” “dopo che l’umidità e i detriti avrebbero compiuto la loro
opera”.
Scheda del libro
Titolo: Sotto il vulcano
Titolo originale: Under the volcano
Autore: Malcolm Lowry
Editore: Universale Economica Feltrinelli
Traduzione dall’inglese: Giorgio Monicelli
Prima edizione: Reynal and Hitchcock, New York 1947
Prima Edizione Italiana: I Narratori Feltrinelli, 1961
Ultima Edizione: I Narratori Feltrinelli, 2018 con nuova traduzione di Marco Rossari