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La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth, dallo smarrimento alla consapevolezza

La leggenda del santo bevitore, un breve racconto da alcuni definito ultima volontà di Joseph Roth. Un’ultima fatica che racchiude il manifesto poetico di un autore che viene ormai considerato come una delle più grandi personalità narrative del ‘900.
Edito da Adelphi, fu pubblicato per la prima volta nel lontano 1939 – pochi mesi dopo la morte dell’autore – e narra la storia di Andreas Kartak, un povero vagabondo che rappresenta il prodotto di una società che non è più in grado di aiutare l’individuo a scoprire le proprie unicità.
Un breve racconto scritto nel lontano ‘39, ma che mai più di ora risulta essere attuale.

La leggenda del santo bevitore, un caleidoscopio di vite

La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth non è semplicemente la storia di Andreas Kartak, clochard che vive la propria vita sotto i ponti della Senna, ma sembra quasi essere una storia di storie.
Il personaggio non è realmente caratterizzato, esattamente come ombre si dimostrano le persone con cui il protagonista avrà a che fare: ricordi sfumati di una vita oramai passata.

Andreas non è un vagabondo, un ubriacone che attraversa le strade di Parigi, ma l’uomo. L’uomo con cui chiunque può entrare in sintonia, condividendo ansie, paure, smarrimento… L’autore dà vita a un racconto che permette allo sguardo del lettore di affacciarsi alla finestra non di una vita, non della propria vita, ma di un caleidoscopio di vite.

La perdita dell’io e l’omologazione

Nel libro La leggenda del santo bevitore ciò che emerge con estrema forza è la sensazione di smarrimento: la perdita del proprio ego, il non essere più consci di se stessi. E proprio la società che dovrebbe aiutare i propri membri a distinguersi gli uni dagli altri, scovando le peculiarità di ciascuno, proprio quella società costringe l’individuo a omologarsi perdendosi. Sin quando non ci si ritrova di fronte ad uno specchio, ri-conoscendo se stessi.

‘E siccome davanti al suo posto c’era uno specchio, non poté evitare di osservare il suo viso, e fu come fare di nuovo conoscenza con se stesso. La cosa lo spaventò; e subito comprese perché negli ultimi anni aveva tanto temuto gli specchi. Non era bene vedere coi propri occhi la propria rovina. E finché non ci si doveva guardare, era come se non si avesse affatto un viso o si avesse ancora quello antico, che risaliva al tempo prima della rovina’.

Un uomo d’onore, anche se senza indirizzo

Solo una sembra essere la costante che attraversa l’intero racconto. Un fil rouge che valica ogni pagina e accompagna ogni singolo dialogo: la fiducia. Un sentimento talvolta reciproco e talvolta ad una sola via, che rende però ogni parola spesa preziosa ed ogni scambio tra differenti personaggi unico e ricco per chiunque vi assista.

Se oramai la società non aiuta più coloro che la vivono e sostengono, se ciò che ci circonda è solo un lontano, sfumato e distorto ricordo di chi eravamo e che avremmo potuto essere, tutto quel che rimane è la fiducia dell’uomo nell’uomo.

E chi meglio di un vagabondo che vive alla giornata – e vive alla giornata per guadagnarsi un bicchiere di Pernod – e non possiede altro che i propri logori vestiti, può far comprendere cosa significhi dare la propria parola: unico pezzo di valore che rimane e che nessuno potrà mai portargli via.

‘[…] sono un uomo d’onore. […] Il denaro che mi offre, non posso accettarlo, e questo per i seguenti motivi: primo, perché non ho il piacere di conoscerla; secondo, perché non so come e quando potrò renderglielo; terzo, perché lei non ha nemmeno la possibilità di sollecitarne la restituzione. Non ho infatti un indirizzo. Sto quasi ogni giorno sotto un ponte o l’altro di questo fiume. Ma, come ho già affermato una volta, sono un uomo d’onore, anche se senza indirizzo’.

Ogni santo ha un passato, mentre ogni peccatore ha un futuro

Forse è proprio nel diverso che si può riconoscere il simile. Non importa quanto differenti siano l’aspetto, le abitudini o la via intrapresa, poiché tutti possediamo alcune virtù e nascondiamo qualche vizio. Allora anche un ubriacone, un bevitore, può diventare santo e un gentiluomo può riconoscere in un vagabondo un fratello che ha smarrito la strada.

‘Entrambi si fermarono, l’uno di fronte all’altro.
«Dove va, fratello?» chiese l’anziano signore ben vestito.
L’altro lo guardò un momento, poi disse:
«Non sapevo di avere un fratello, e non so dove la strada mi porta».
«Io cercherò di indicarle la strada»’.


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Scheda libro La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth

  • Titolo: La leggenda del santo bevitore
  • Autore: Joseph Roth
  • Prima edizione: 1975
  • Editore: Adelphi
  • Anno: 2012

 

 



La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth - 2023
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La leggenda del santo bevitore, il breve racconto di Joseph Roth pubblicato nel 1939 che rappresenta il manifesto della sua poetica.

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Autore: Alessandro Patricola

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5
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