Il gioco

Il gioco. Un romanzo tra giallo e commedia di Giovanni Floris

Il gioco è l’ultimo lavoro letterario di Giovanni Floris, giornalista, scrittore, saggista, autore televisivo, conduttore televisivo ed ex conduttore radiofonico italiano. Edito da Solferino, è un romanzo capace di combinare giallo e commedia in una storia incalzante e avvincente.

Il gioco. La trama

Piacere, Paolo Romano, insegnante scomodo: potrebbe presentarsi così il protagonista de Il gioco, il romanzo del giornalista e scrittore Giovanni Floris. Docente di lettere avverso al pensiero unico, tutto nella persona e nei gesti del professor Romano racconta il disprezzo verso una visione ingessata e totemica del sapere, verso la pedanteria che permea una certa didattica dura a tramontare, fatta di verità ufficiali snocciolate dai libri di testo come grani di un rosario. Un uomo che al chiasso della rivoluzione preferisce il brusio della collaborazione. Serve a questo la scuola, per lui, e tutto il resto è dogma.

Cosa rimane, oggi, del Paolo Romano che è stato? Una patologia autoimmune e un dolore antico come unici compagni, è diventato un uomo nostalgico, che annaspa nell’appartamento dove si è trasferito all’indomani della separazione dalla moglie.
Ingrigito, le spalle curve, sul viso non è rimasta traccia del piglio fumantino di chi è sempre stato abituato a ragionare come uno dei suoi studenti. Non per questo è divenuto un cattivo insegnante: dietro i modi sbrigativi del professor Romano, Paolo ama i suoi allievi con l’amore di un padre, che sa essere presente senza per questo fare rumore, né sconti.

Ne Il Gioco facciamo la sua conoscenza mentre si aggira come un carbonaro tra i corridoi dell’istituto superiore di Torre Bruciata, sperduta periferia est della capitale, dove continua a combattere le sue battaglie, solo dalle retrovie: nel cuore, un’inquietudine come colla per i rottami di una misteriosa tragedia precedente, che grava sugli esordi del romanzo.

Quel giorno Paolo non dovrebbe essere lì, ha chiesto un permesso per malattia. Può quasi sentirli nelle orecchie, i rimbrotti del dirigente: se lo becca a scuola dovrà fornire fiumi di spiegazioni e saranno grattacapi a mai finire. Il suo superiore non ha mai perso occasione negli anni di esprimergli la propria sfiducia, di dimostrargli quanto poco ne condivida i metodi e l’animo dinamitardo da professorucolo fissato col fare i passi più lunghi della gamba.

Non si cura affatto del rischio della bocciatura che le incombe sulla testa, la pluriripetente Francesca: fisico statuario, spacciatrice e simpatizzante neofascista, capoccione del duce tatuato addosso, la sufficienza risicata nel solo italiano non le cambia certo la vita. Ha altro per la testa, lei: frequenta il Bomber, il Panza, il Coscia, con i quali milita nei locali gruppi di reclutamento di estrema destra.

Personaggi e trama de Il gioco

È cotta di Momo, il ‘mezzo negro‘, padre italiano e madre nigeriana. Il bello della classe, una pericolosa testa calda. Pugile dilettante con precedenti per rissa, Mansur (il suo vero nome) è un finto cattivo: a trattenerlo per la collottola sul dirupo della perdizione la sua buona stella e una dose generosa d’innato umorismo, con cui riesce a cavarsi fuori dalle situazioni più difficili.

Il loro terreno d’incontro ha le fattezze diafane di Rossella, diciotto anni, prima della classe, che i due si divertono a bullizzare sapendo di poter contare sull’appoggio e la copertura reciproci.
Di rimanere impuniti, qualsiasi cosa accada.
La vittima è stata scelta con cura: temperamento arrendevole e introverso di chi riesce a sparire senza nemmeno alzarsi dalla sedia, a suo agio nella virtualità sdrucciolosa della rete. Per una puntigliosa come lei, tutta senso del dovere, concepire colpi di testa sarebbe del tutto fuori discussione.

Eppure, di Rossella non si ha più nessuna notizia ormai da quarantotto ore. Inghiottita nel nulla, nel marasma delle ultime settimane che precedono la chiusura dell’anno scolastico. A denunciare la sparizione di una ragazza agli antipodi della mondanità non può che essere la famiglia. Non uno straccio di motivo plausibile per il gesto: ‘non è il tipo che scappa di casa’, di questo sono tutti certi.

Secondo il narcisista e vanesio professore di arte e disegno Pastore, ossessionato da Illuminati e teorie del complotto, dietro la vicenda del rapimento si nasconderebbe l’ultima di una ragnatela di iniziative portata avanti in nome di una rediviva strategia della tensione, col proposito di sovvertire l’ordine delle istituzioni all’interno di un progetto più vasto che collegherebbe Torre Bruciata a piazza della Loggia, all’Italicus, alla pandemia e ai venti di guerra tornati a spirare sulla vecchia e stanca Europa. Con un solo obiettivo: il grande reset.

Si comprende facilmente come mai si scrutino in cagnesco, Romano e Pastore: i due non potrebbero essere più diversi. Tra loro è guerra aperta, e ogni scintilla si trasforma in incendio, teste e cuori degli studenti come ring per un duello di nervi a suon di citazioni che non passa inosservato al restante corpo docente.

Per quanto allucinata, sulle prime l’ipotesi di Pastore sembra calzare, tanto più che dentro lo zaino di Rossella, rinvenuto vicino a un cantiere nel cortile della scuola, viene trovata quella che sembra una bandiera dell’ISIS, insieme a delle frasi in arabo non meglio precisate: la pista islamica è bella e confezionata. Man mano che prende piede, l’illazione sortisce l’effetto di ingenerare nella comunità locale una vera e propria psicosi, di stuzzicare le paure ataviche delle masse senza volto, prima tra tutte quella per il lavoro e la sicurezza.

Momo viene da subito sospettato, mentre i media vanno in fibrillazione e si scatenano in una girandola di ipotesi a dir poco fantasiose, col risultato di aizzare al calor bianco l’opinione pubblica. In città non si parla d’altro, tutti vogliono sapere: sotto casa di Momo si forma un capannello bellicoso, fomentato da un drappello di camerati sul piede di guerra.
I toni si accendono, il tam-tam dei giudizi sommari si spande, c’è persino chi vuole dare fuoco alla casa. Mansur trascorre la sua prima notte dietro le sbarre, mentre fuori esplodono violenze e intimidazioni, frutto di pregiudizi duri a sgretolarsi.

Il gioco: le indagini di Nilde Fabbri

Le indagini vengono affidate all’ispettrice Nilde Fabbri. Tipa tosta, fa irruzione a scuola ancor prima che la notizia della scomparsa di Rossella si diffonda. Si presenta in classe senza preavviso: vuole parlare con i compagni, guardarli in faccia, collezionare i loro brandelli di verità.

La pista ISIS si sgonfierà presto: la bandiera si rivela presto falsa, le frasi un lacerto del ‘Gordon Pym’ di Edgar Allan Poe. Momo viene scarcerato il giorno dopo, ma per lui il calvario è ben lungi dal concludersi: la fede si rivela presto una motivazione di facciata, un pretesto come un altro per gettare benzina sul fuoco della difficile convivenza tra italiani e stranieri.

Con nessuna richiesta di riscatto avanzata alla famiglia, ben presto appare chiaro che la faccenda del rapimento è un segnale dietro il quale si cela un disegno più ampio.
Tutto sta ad avere la lente giusta per decifrarlo.

Se vuole evitare il peggio e strappare di dosso a Momo il velo infamante di una sentenza di condanna pronunciata a furor di popolo, la rabberciata compagine investigativa deve muoversi con destrezza, tra colpi di scena e rivelazioni intime dove Nilde, Paolo, Momo e Francesca scopriranno molto di ciò che non sanno e qualcosa di ciò che sono.
A una condizione: accantonare le proprie rispettive zone d’ombra. Perché, come avrà a dire Paolo, ‘anche chi è colto ha un problema: vedrà solo quello che vuole vedere’.

Il gioco

Fatta la conoscenza di Montecristo, il bibliotecario della scuola ‘dal cognome letterario’, ragazzo degli anni di Piombo con un passato da anarchico, e di Adalgisa, ex preside e consumatrice di droghe di lunga data, è il momento di entrare ne Il Gioco.
Questo il nome sibillino dato al progetto più visionario e utopico che potesse essere concepito per opporsi alle sirene della letteratura mainstream e del pensiero unico imperante. Una rivoluzione operata dall’interno: aprire le porte della conoscenza senza più nulla concedere a catalogazioni coatte e pregiudizievoli.

Lasciare gettare lo sguardo ai giovani oltre quello che una scuola tradizionalista lascia loro intendere ci sia là fuori. Iniziativa culturale, iniziativa politica: difficile tracciare un perimetro, con l’una che prepara all’altra e la seconda che si specchia nella prima per comprendersi e comunicarsi. Come Gordon Pym, che ammaliato dal mistero dell’ignoto non retrocede, ma lo attraversa in solitaria: ecco l’intuizione decisiva, per cui vale la pena di lottare, certi del fatto che ‘il desiderio è per sua natura rivoluzionario’.

Inforcati questi ‘occhiali ermeneutici’, davanti al sodalizio investigativo si svela una fitta trama di indizi e rinvenimenti che è un vero e proprio ipertesto, scritto in un codice metaforico. Per collegare i tasselli ogni componente dovrà ‘cercare la sfumatura, non il colore‘: Verlaine aveva proprio ragione.

Li sfida a venirlo a prendere, il Signore del Gioco, prima che sia lui a mettere le mani su di loro: il braccio di ferro principia dai sotterranei del Vaticano, prosegue per Campo de’ Fiori, si impantana lungo le sponde del Tevere, poi giù a capofitto nei sotterranei della Cloaca Maxima: è l’Urbe, la sua storia, le sue storie la plancia di gioco per una caccia al tesoro tra i luoghi simbolo della Capitale, pronti a raccontarci una cornucopia di storie che sono un’unica storia.

Dove condurrà tutto questo, e chi ne è l’artefice?
Che il Gioco abbia inizio.

La dimensione reticolare del sapere ne Il gioco

Guardando alla sua strutturazione, dietro il movente de Il Gioco si cela una tentazione diabolica per tutti gli studenti di ieri, oggi e domani, che dalla scuola sentono di non aver ricevuto ali per volare ma zavorre con cui affondare in un sapere stucchevole e impermeabile, incapace di raccontare, comprendere e incidere sul mondo.
Un sapere che incatena e non libera.

Non così sarebbe più stato: è nello spirito originario de Il Gioco quello di configurarsi come antidoto al declino della scuola di oggi, a un’involuzione che rinnega l’architettura reticolare del sapere e lo condanna di fatto a una ripetizione sterile di formule e teorie. Restituire all’amore per la conoscenza la sua dignità di amo, che una volta agganciata la preda non le permetta di procedere oltre ma la arruoli in una ricerca asintotica, dove l’orizzonte avanza alla velocità con cui si progredisce. Dove vecchie domande che sembravano licenziate per sempre vivono nuove primavere, dove l’antico dialoga col contemporaneo.
Intendendosi, con reciproca sorpresa.

Nel romanzo Il Gioco traspare con chiarezza nella scrittura l’intento metatestuale di mimare l’articolazione dendriforme della conoscenza, di farlo con grande sapienza e raffinatezza narrative, sulla spina dorsale di una teoria rutilante di autori e pensatori, ognuno con sensibilità e posture artistico-esistenziali proprie, da Montale a Freud, da Flaiano a Breton, da Musil a Pirandello.

Il gioco, tra apprendimento e intelligenza artificiale

Tra le pieghe della vicenda romanzata ne Il Gioco va in scena una lucida e poderosa riflessione sullo status della scuola italiana e sul ruolo della classe docente, nella quale si specchiano le priorità di un paese che preferisce rinviare di continuo l’appuntamento con le riforme.

Il romanzo investe altresì la questione, invero di scottante attualità, del ruolo che l’intelligenza artificiale, prossima a invadere le nostre vite, rivestirà in esse, di quanto effettivamente gli algoritmi applicati all’apprendimento finiranno per potenziare e amplificare i nostri orizzonti di conoscenza. Di quanta libertà ci faranno dono, al netto di quelle che ci verranno estorte: spigolare tra le pagine, compiere scorrerie verso territori ignoti dello scibile per lasciarcene sorprendere, affinare un gusto e una sensibilità propri.

Un algoritmo come anestetico allo sgomento che investe il lettore una volta messo di fronte alla vertigine di un sapere che lo tallona, lo incalza, lo interroga. In molti si può essere effettivamente tentati di rifuggire da una simile realtà. O di assumere la prospettiva accomodante di chi lascia che la vanità racchiusa al fondo di ciascuno venga titillata senza opporre troppe resistenze. Sfociando magari in una sete di possesso che contrappone l’uomo all’uomo e lo riduce al silenzio, come in Palomar di Calvino.

Il gioco. Valutazione finale

Il gioco è un romanzo sulla bellezza e la gioia del conoscere, su ciò che rende l’uomo tale: impadronirsi della dimensione frattale del sapere è staccare il biglietto per una traversata che non conosce confini. Compagni di viaggio le architetture di idee ed emozioni che a stento i libri riescono (e noi riusciamo) a contenere.

Riscoprire la connessione tra letteratura e impegno politico, tra la penna e la mano che la guida: l’invito a fare nostra la lezione di Gramsci, Silone, Vittorini, Moravia è perentorio.
Vivere la letteratura, perché non c’è altro modo di specchiarvisi.
E di lasciarsene trasformare.

Un monito a non impigrirsi, a guardare oltre la superficie delle cose e delle persone per metterne a nudo l’intima natura, in un oceano di connessioni e suggestioni. Senza l’ambizione di una meta, senza la paura del “dopo”, giù a precipizio fino al colpo di scena conclusivo.
Perché, come ogni storia, anche questa troverà la fine.
Il Gioco no, ed è bello così.

 


Giornalista italiano. È noto al grande pubblico per la conduzione del talk-show Ballarò, dopo il quale è diventato autore di Dimartedì su La7. Superata la prova di idoneità professionale, fu assunto dal Giornale Radio Rai nel 1996, dove fu inviato e conduttore. In particolare, si trovava a New York all’epoca dei fatti dell’11 settembre 2001. Dopo quella esperienza, fu nominato corrispondente per la RAI dagli USA, con sede a New York, dove si trasferì. Dopo un anno, nel 2002, divenne conduttore del nuovo talk-show Ballarò, che lo ha portato alla notorietà. È vincitore di numerosi premi tra cui Saint-Vincent, Premiolino, Flaiano, Guidarello e Elsa Morante.
Tra le pubblicazioni per Rizzoli si ricordano: Monopoli (2005), Risiko (2006), Mal di merito (2007), La fabbrica degli ignoranti (2008), Separati in patria. Nord contro Sud: perché l’Italia è sempre più divisa (2009), Zona retrocessione. Perché l’Italia rischia di finire in serie B (2010), Decapitati. Perché abbiamo la classe dirigente che non ci meritiamo (2011), L’invisibile (2019). Per Feltrinelli Il confine di Bonetti (2008) e La prima regola degli Shardana (2016), con il quale ha vinto il Premio Internazionale Capalbio Piazza Magenta 2016 – Sezione Letteratura e giornalismo televisivo.

 


Il gioco
Scheda del libro

Il gioco di Giovanni Floris

 

  • Titolo: Il gioco
  • Autore: Giovanni Floris
  • Editore: Solferino
  • Anno: 2022

 

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Il gioco. La recensione del libro di Giovanni Floris - 2022
Il gioco

Il gioco è un romanzo dello scrittore, giornalista e conduttore televisivo Giovanni Floris. Un giallo, un complotto, una commedia. Un libro pubblicato dalla casa editrice Solferino.

URL: https://www.ilcappuccinodellecinque.it/il-gioco-giovanni-floris-solferino/

Autore: Dario Filardo

Valutazione dell'editor
3

 

Pubblicato in Narrativa e taggato .

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